giovedì 23 luglio 2015

Etichette dei prodotti: vietato raffigurare ingredienti assenti

Etichette dei prodotti: vietato raffigurare ingredienti assenti In evidenza

etichettatura1Non basta indicare precisamente la composizione di un prodotto alimentare, se poi l’immagine sulla confezione in vendita raffigura un ingrediente che non ne fa parte. In questi casi, infatti, non è assicurata la tutela del consumatore, che potrebbe essere tratto in inganno dall’etichettatura.
Lo ha stabilito la Corte di giustizia della Ue: con la sentenza del 4 giugno 2015 (C-195/14) gli eurogiudici hanno fatto prevalere il peso dell’immagine, che certo cattura di più l’attenzione, rispetto al dato scritto, salvaguardando i consumatori dal rischio di etichettature ingannevoli.
È stata la Corte federale tedesca, che aveva ricevuto il ricorso dell’Unione federale delle organizzazioni e associazioni dei consumatori, a chiedere l’intervento della Corte Ue per la soluzione di alcuni quesiti interpretativi sul diritto dell’Unione. L’associazione dei consumatori riteneva che una società tedesca, che commercializza un infuso ai frutti raffigurando sulla confezione i lamponi e i fiori di vaniglia, malgrado poi questi alimenti non compaiano nella lista degli ingredienti, avesse effettuato una pubblicità ingannevole. Di qui l’azione giudiziaria.
Prima di tutto, la Corte Ue ha chiarito che la direttiva 2000/13 sull’etichettatura e sulla presentazione dei prodotti alimentari, nonché sulla relativa pubblicità (recepita in Italia con il Dlgs 181/2003), modificata dal regolamento 596/2009, impone ai produttori di fornire informazioni corrette, imparziali e obiettive, in grado di non indurre in errore il consumatore. È vero - scrive la Corte - che il consumatore deve leggere l’elenco degli ingredienti, ma non va dimenticato che la confezione attrae immediatamente l’attenzione ed è così in grado di condizionare le scelte dei consumatori attirati, in prima battuta, dall’immagine di un elemento e dal sigillo grafico. A ciò si aggiunga che va posto in primo piano l’obiettivo della direttiva, che è quello di informare e tutelare i consumatori con un’etichettatura indicante la natura esatta e le caratteristiche del prodotto in modo che l’acquirente sia in grado di «operare la propria scelta con cognizione di causa».
In questa direzione è richiesto che il produttore indichi, in un prodotto alimentare che mette in vendita, «la natura, l’identità, la qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza, il modo di fabbricazione o di ottenimento dello stesso». Nel caso in cui ci sia una divergenza tra elenco degli ingredienti, che risulta corretto, e immagine non veritiera della confezione, va accertata, per stabilire se l’etichettatura è ingannevole, l’aspettativa del consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento. È evidente che la lettura degli ingredienti eviterebbe l’errore: tuttavia, l’impatto delle immagini riportate sulla confezione può essere determinante nel momento dell’acquisto anche per il consumatore medio, risultando così ingannevole. Di conseguenza, l’esattezza e l’esaustività dell’elenco degli ingredienti non sono in grado di correggere «l’impressione errata o equivoca del consumatore» provocata da altri elementi, come i simboli grafici o le immagini dell’etichettatura.
Pertanto, sulla confezione di un prodotto alimentare non possono essere rappresentati ingredienti che con il prodotto stesso non hanno a che fare.
AdA
fonte Sole24Ore M.C.

lunedì 20 luglio 2015

Amianto, presentato Ddl per gratuito patrocinio dello Stato a vittime e familiari


ROMA – Ammissione delle vittime dell’amianto e dei lavoro familiari al gratuito patrocinio dello Stato. È stato presentato ieri in Senato, in una conferenza stampa che si è tenuta nella Sala Caduti di Nassirya, il Ddl S. 1942Disposizioni per l’ammissione delle vittime dell’amianto e dei loro familiari al patrocinio a spese dello Stato.

Ddl 1942

La proposta di legge mira a estendere la possibilità di godere del patrocinio dello Stato in sede processuale anche alle vittime dell’amianto e ai loro familiari, a garantire quindi quel pagamento delle spese processuali attualmente concesso a chi, a prescindere dal reddito, è stato vittima e dovrà affrontare un procedimento per reati come violenza sessuale, pedofilia, pedopornografia, maltrattamenti, stalking, mutiliazione di organi genitali femminili (Decreto legge 93/2013 contrasto violenza di genere).
Come si evince dalla nota apparsa ieri su sito Anmil, la proposta ha come prima firmataria la presidente della Commissione di inchiesta sugli infortuni sul lavoro senatrice Camilla Fabbri. Capofila di più di cinquanta senatori.
Sul sito del Senato è possibile ora consultare l’intero fascicolo dell’iter del Ddl. S 1942, che riporta in dettaglio i nomi di tutti i firmatari, le date dei passaggi parlamentari, le motivazioni a monte del provvedimento e il testo di legge.
Questo quanto la proposta di legge ha comunicato alla presidenza del Senato il 22 maggio 2015 in sede di presentazione dell’iniziativa parlamentare: “emerge il bisogno di sostenere non soltanto le vittime ma anche le loro famiglie affinché possano effettivamente esercitare il diritto di difesa in processi che si sviluppano sempre fino al terzo grado di giudizio, con esiti incerti, con oneri processuali gravosissimi, nell’ambito di processi penali con imputati di età avanzata, per attività di imprese che non esistono più. Si tratta, in breve, di processi penali che richiedono lunghissime attività processuali, oneri di difesa difficilmente sostenibili per famiglie di lavoratori, costi per i consulenti tecnici, e raccolta di prove a sostegno delle proprie richieste risarcitorie.
[…] Tutto ciò evidenzia la necessità di sostenere le spese legali delle vittime che altrimenti desisterebbero dalla costituzione di parte civile; di conseguenza diventerebbe pressoché impossibile poter ottenere l’effettivo risarcimento del danno.
[…] Pertanto risponde ad un’esigenza di giustizia sociale e di solidarietà processuale prevedere l’ammissione delle vittime dell’amianto che si costituiscono quali persone offese o quali parti civili al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ampliando la platea delle vittime che possono accedere a tale beneficio in deroga ai limiti di reddito previsto dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115“.
Il disegno di legge, una volta approvato, andrebbe appunto a modificare l’articolo 76, comma 4-ter, del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendo dopo “609-undecies del codice penale” la seguente frase: “e dei reati di cui agli articoli 434, 437, 449, 575, 582, 589 e 590 del codice penale commessi in danno di persone esposte ad amianto“.
La copertura finanziaria verrebbe valutata in 2,5 milioni di euro l’anno a partire dal 2016, garantita dalla riduzione delle risorse del Fondo di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni,
dalla Legge 27 dicembre 2004, n. 307.

Conferenza amianto

A margine della conferenza stampa di presentazione della proposta di legge, la senatrice Silvana Amati, tra i firmatari del provvedimento, ha annunciato che il 30 novembre 2015 dovrebbe tenersi in Senato, la prossima “Conferenza nazionale sull’amianto”.
Articolo appartenente a Leggi e taggato Permalink

domenica 12 luglio 2015

Decreti attuativi del Jobs Act nei settori dell’assistenza sanitaria/sociale

Decreti attuativi del Jobs Act nei settori dell’assistenza sanitaria/sociale

I decreti attuativi del Jobs Act approvati dal Consiglio dei Ministri il 20 febbraio concernono anche l’assistenza sanitaria/sociale, nei cui settori hanno introdotto novità di spessore.
Primo. In caso di “gravi patologie croniche, degenerative e ingravescenti” (al momento i benefici erano riservati ai soggetti interessati da tumori), i lavoratori sia del “ pubblico” che del “privato”, potranno trasformare il lavoro a tempo pieno in lavoro part-time di tipo orizzontale o verticale*.
In materia di diritti della “maternità/paternità”, il part-timefacoltativo, pagato il 30% dello stipendio, potrà essere fruito fino a sei anni di vita del bambino (con le disposizioni attuali, poteva essere goduto fino a tre anni del bambino). Il part-time non pagato potrà essere utilizzato fino a dodici anni di vita del bambino (attualmente fino a 6 anni).
Il trattamento quindi è lo stesso che viene riservato ai lavoratori nei casi di adozione e affidamento.
Ma altri sono i provvedimenti nel settore in difesa della maternità/paternità. Infatti, i datori di lavoro del “privato”: a) per venire incontro alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti, possono concedere i benefici del telelavoro**; b) alle dipendenti donne, vittime di violenza di genere, le aziende possono concedere di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi.
A proposito dei congedi di paternità, i benefici*** vengono estesi a tutte le categorie di lavoratori (anche ai liberi professionisti).
DLgs 61/2000 (Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES). Con il part-time orizzontale, la riduzione dell’orario viene eseguita sull’orario giornaliero, con il part-time verticale la riduzione viene fatta solo in alcuni periodi della settimana, del mese o dell’anno.
** La sua disciplina ha preso le mosse dall’Accordo interconfederale del 9 giugno 2004.
*** Possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti.

Telelavoro e congedo per donne vittime di violenze di genere, nel decreto 80/2015


Nel precedente articolo si sono illustrate alcune delle modifiche apportate dal decreto delegato 80/2015 sulTesto unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (Dlgs 151/2001). Altre riguardano i congedi parentali, il lavoro notturno, le dimissioni delle lavoratrici madri, le lavoratrici madri autonome, imprenditrici agricole e libere professioniste.
Gli artt. 23 e 24 del decreto delegato riguardano rispettivamente le disposizioni in materia di telelavoro e di congedo per le donne vittime di violenze di genere.
A proposito del primo argomento  “i datori di lavoro privati che facciano ricorso all’istituto del telelavoro per motivi legati ad esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in forza di accordi collettivi sindacali…, possono escludere i lavoratori ammessi al telelavoro dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti”.
Sul congedo per le donne vittime di violenza di genere, il testo dell’art. 24 del decreto delegato prevede che la dipendente di datore di lavoro pubblico o privato*, inserita nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, ha il diritto di astenersi dal lavoro per motivi connessi al tale percorso per un periodo massimo di tre mesi.
Se si tratta di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, le interessate hanno diritto alla sospensione del rapporto contrattuale per motivi connessi allo svolgimento del percorso di protezione, per il periodo corrispondente all’astensione, la cui durata non può essere superiore a tre mesi.
Durante il periodo di congedo, la lavoratrice ha diritto a percepire “un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa”.
Il periodo di sospensione è computato ai fini dell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, nonché ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto.
Il congedo può essere usufruito su base oraria o giornaliera nell’arco temporale di tre anni secondo quanto previsto dagli accordi collettivi nazionali. In caso di mancata regolamentazione…, la dipendente può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria.
La lavoratrice ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale, verticale od orizzontale, ove disponibili in organico. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere nuovamente trasformato, a richiesta della lavoratrice, in rapporto di lavoro a tempo pieno.
* Con esclusione del lavoro domestico.
** L’indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità.

Il DLgs 80/2015 modifica e aggiorna la materia di tutela delle lavoratrici madri


La L. 183/2014 ha delegato il Governo, fra l’altro, ad apportare modifiche in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, e in particolare ad aggiornare le misure di tutela della maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (Leggi: Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 in GU 24 giugno 2015). Materia quest’ultima, tutta ricompresa nel TU testo unico 151/2001.
Qui di seguito le modifiche di maggior rilievo.
I giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta…. si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto (modifica dell’art.16 del TU 151/2001).
In caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, la madre ha diritto di chiedere la sospensione del congedo di maternità per il periodo di tre mesi dopo il parto e di godere del congedo, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino. Il diritto può essere esercitato una sola volta per ogni figlio ed è subordinato alla produzione di attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell’attività lavorativa (nuovo art. 16-bis inserito nel TU 151/2001*).
L’indennità di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro (giusta causa per colpa grave della lavoratrice, cessazione attività dell’azienda, ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta**), che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità.
In materia di congedo di paternità le disposizioni***, si applicano anche qualora la madre sia lavoratrice autonoma avente diritto all’indennità giornaliera per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto (art. 66 del TU 151/2001). L’indennità spetta al padre lavoratore autonomo, previa domanda all’INPS, per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. Il padre lavoratore che intende avvalersi del diritto (di cui sopra) presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle condizioni ivi previste.
* Il nuovo articolo si applica anche in caso in materia di congedo di maternità nei casi di adozione e affidamento.
** Art. 54, c. 3 TU 151/2001.
*** Art. 28 “Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonchè in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre”.
Continua giovedì 9 luglio 2015: congedo parentale e telelavoro Jobs Act

Leggi

I decreti attuativi e preliminari da Jobs Act approvati dal Governo l’11 giugno 2015

IL TRATTAMENTO FISCALE E PREVIDENZIALE


IL TRATTAMENTO FISCALE E PREVIDENZIALE


Ultimo aggiornamento: 3 gennaio 2014
Tramite i messaggi 19 settembre 2013, n. 14802, intitolato “compensi per l’utilizzo e lo sfruttamento economico del diritto di autore e del diritto di immagine. Assoggettamento a contribuzione obbligatoria“, e 28 novembre 2013, n. 19435, sempre intitolato “Compensi per l’utilizzo e lo sfruttamento economico del diritto di autore e del diritto di immagine. Assoggettamento a contribuzione obbligatoria” l’INPS ha fornito un chiarimento in ordine al trattamento contributivo di somme percepite a titolo di compenso per lo sfruttamento economico di opere dell’ingegno tutelate dal diritto di autore, e del diritto di immagine.
Nel primo messaggio l’INPS fornisce una serie di soluzioni interpretative utili, anche tramite apposite schede sinottiche che riepilogano il trattamento fiscale e contributivo dei compensi. Nel secondo messaggio INPS smentisce alcune affermazioni rese nel primo messaggio.
Per una più diffusa trattazione in ordine all’inquadramento normativo generale, si rinvia alla circolare ENPALS n. 1 del 15 gennaio 2004 (reperibile sul sito dell’Istituto, alla sezione ex ENPALS).
Sul piano tributario, il compenso per lo sfruttamento economico del diritto di autore, è assoggettato a diversa imposizione a seconda che risulti percepito:
1.     dall’autore;
2.     da aventi causa a titolo gratuito (es. eredi o legatari dell’autore);
3.     da soggetti che abbiano acquisito a titolo oneroso l’utilizzazione economica del diritto medesimo.
Nel primo caso, la percezione, da parte dell’autore, del compenso per l’utilizzazione economica di opere tutelate configura, salvo che si tratti di proventi conseguiti nell’esercizio di impresa commerciale ovvero assimilabili ai redditi di lavoro dipendente, l’esercizio abituale di arti o professioni e comporta il trattamento del compenso medesimo alla stregua di reddito di lavoro autonomo. Per la determinazione del reddito imponibile, all’importo del compenso si applica una deduzione forfettaria delle spese di produzione pari al 25% (per contribuenti con età superiore a 35 anni) ovvero al 40% (per contribuenti con età pari o inferiore a 35 anni) della misura del compenso medesimo (cfr. art. 54, co. 8, primo periodo, TUIR). Nell’ambito del modello Unico PF, le informazioni sono riportate nel quadro RL (altri redditi), sez. III (altri redditi di lavoro autonomo): in particolare, nel rigo RL25, si rileva l’importo lordo del compenso e, nel rigo RL29, l’importo della deduzione forfettaria per spese.
Nel secondo caso, il compenso per l’utilizzazione economica del diritto di autore rientra nella categoria dei redditi diversi e costituisce reddito imponibile per l’intero importo. Nell’ambito del modello Unico PF, le informazioni sono riportate nel quadro RL (altri redditi), sez. II-A (redditi diversi): nel rigo RL13 si rileva l’importo del compenso.
Anche nel terzo caso, il compenso per l’utilizzazione economica del diritto di autore rientra nella categoria dei redditi diversi, ma all’importo lordo del compenso si applica una deduzione forfettaria delle spese di produzione in misura pari al 25% del suo importo (art. 71, TUIR). Nell’ambito del modello Unico PF, le informazioni sono riportate nel quadro RL (altri redditi), sez. II-A (redditi diversi): nel rigo RL13 si rileva l’importo del compenso al netto della deduzione forfettaria spettante.
Sotto il profilo previdenziale, INPS dichiara che il reddito per lo sfruttamento economico del diritto di autore risulta soggetto a imposizione esclusivamente laddove derivi – fatti salvi i rari casi in cui è assimilato al reddito di lavoro dipendente e, pertanto, soggetto a tassazione da parte del datore di lavoro – dall’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di arti e professioni, vale dire la fattispecie sopra inquadrata alla lettera a).
Ai fini dello svolgimento delle attività di accertamento di eventuali irregolarità contributive desumibili dall’incrocio delle informazioni fiscali e previdenziali, di norma, il soggetto titolare dei redditi in questione può rientrare in una delle seguenti fattispecie:
1.     si tratta di un libero professionista iscritto ad una delle forme previdenziali previste dal D.Lgs. n. 509/1994 e dal D.Lgs. n. 103/1996 (Casse dei professionisti);
2.     è un artista iscritto al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo ex ENPALS (di seguito, per brevità, “Fpls”);
3.     si tratta di un lavoratore autonomo non iscritto ad una delle Casse dei professionisti e non rientrante nelle categorie degli artisti iscritti alla gestione di cui al punto 2.
Nel primo caso, l’obbligo contributivo sussiste nei limiti e sulla base delle regolamentazioni adottate dalle singole Casse.
Nel secondo caso, l’obbligo contributivo (e informativo), in deroga ai principi generali che regolano l’assicurazione obbligatoria dei lavoratori autonomi, sussiste in capo al datore di lavoro, con diritto di rivalsa nei limiti della contribuzione posta a carico del lavoratore (aliquota vigente 9,19% incrementata al 10,19% per la parte di compenso che supera la misura prevista dall’art. 3-ter del D.L. n. 384/1992 convertito dalla L. n. 438/1992). Inoltre, si richiama l’attenzione sulla circostanza che, in base alle regole che regolano l’assicurazione IVS del Fpls, sono da assoggettare a contribuzione previdenziale tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo maturati nel periodo di riferimento in relazione al rapporto di lavoro (principio di competenza). Fanno eccezione al criterio della competenza unicamente le gratificazioni annuali e periodiche, i conguagli di retribuzione spettanti a seguito di norma di legge o di contratto aventi effetto retroattivo e i premi di produzione, che sono assoggettati a contribuzione nel mese di corresponsione (principio di cassa), vale a dire istituti retributivi tipici del lavoro subordinato e che, solo in particolari assetti, possono essere legittimamente concepiti nell’ambito di rapporti di lavoro autonomo. E’ questo, ad esempio, il caso delle cd. royalties, vale a dire quelle forme di remunerazione la cui misura (e sovente la stessa insorgenza) è legata al risultato commerciale della diffusione dell’opera (es. numero di supporti audiovisivi venduti).
Sulla base dell’art. 43, co. 3, della legge 289/2002, i compensi percepiti dall’autore, per l’utilizzazione economica del diritto di autore rimangono esclusi dalla base contributiva e pensionabile fino al limite del 40% dell’importo complessivo dei compensi percepiti dal lavoratore per la medesima attività lavorativa, da intendersi comprensivo della remunerazione per la prestazione lavorativa effettuata e del corrispettivo connesso alla cessione dello sfruttamento economico dei citati diritti (cfr. circ. ENPALS n. 1/2004).
Sotto il profilo operativo, al fine di definire il trattamento contributivo del compenso per la cessione del diritto di autore rilevato dalla dichiarazione dei redditi, è necessario:
– accertare che l’erogazione del compenso si collochi nell’ambito di un rapporto di lavoro, ancorché di natura autonoma, ovvero sia comunque ad esso riconducibile. Al riguardo, sovente, l’erogazione del compenso per la cessione dello sfruttamento economico del diritto di autore viene effettuata, generalmente sulla base di circostanziate clausole contrattuali, in epoca successiva (talora in periodi di imposta successivi) rispetto allo svolgimento della prestazione lavorativa;
– inquadrare tutti i compensi erogati dal medesimo datore di lavoro nel corso del tempo, anche avvalendosi delle dichiarazioni contributive;
– sommare l’importo totale dei compensi percepiti per la prestazione lavorativa e per la cessione dello sfruttamento del diritto di autore;
– calcolare la contribuzione esentando dall’assoggettamento a contribuzione l’importo del compenso per la cessione dello sfruttamento economico del diritto di autore entro la misura del 40% dell’importo dei compensi complessivamente percepiti in relazione a quello specifico rapporto di lavoro.
Le categorie artistiche titolari del diritto di autore iscritte al Fpls sono individuate, sulla base della l.d.a., nelle seguenti:
– sceneggiatore teatrale, cinematografico o di audiovisivi (cod. 043);
– regista teatrale, cinematografico o di audiovisivi (cod. 041);
– dialoghista adattatore cinetelevisivo o di audiovisivi (cod. 044);
– soggettista (cod. 046);
– compositore/arrangiatore (cod. 075);
– coreografo (cod. 091);
– architetto (cod. 131);
– costumista(cod. 132);
– scenografo (cod. 133);
– bozzettista (cod. 134);
– creatore di fumetti, illustrazioni e disegni (cod. 136).
Pertanto, eventuali compensi per lo sfruttamento del diritto di autore a favore di qualifiche professionali diverse da quelle sopra indicate non godono del beneficio di esenzione contributiva introdotto dalla richiamata L. 289/2002.
Nel terzo caso (lavoratore autonomo non iscritto al Fpls né iscritto ad una Cassa professionale), trattandosi di redditi qualificati alla stregua di redditi di lavoro autonomo (quadro RL, sez. III, Unico PF), l’INPS ha prima ipotizzato l’iscrizione alla Gestione separata e il conseguente assoggettamento a contribuzione obbligatoria, per poi fare un passo indietro in quanto la norma istitutiva della predetta Gestione separata contempla, tra i soggetti obbligati al versamento, oltre a coloro che producono reddito da lavoro autonomo (ex art. 49, comma 1, oggi art. 53, comma 1 del TUIR), anche coloro che producono i redditi di cui all’art. 49, comma 2, lett. a) – oggi art. 50, comma 1, lett. c)-bis – del TUIR, mentre il reddito sul diritto d’autore è regolato dalla lettera b) dell’art. 53, comma 2 del TUIR.
Pertanto, il compenso percepito per lo sfruttamento economico del diritto di autore da parte lavoratore autonomo non iscritto al Fpls né ad una Cassa Professionale è escluso da qualsiasi obbligo contributivo, anche nei confronti della Gestione separata ex art. 2, comma 26, L. n. 335/1995.

Compensi relativi allo sfruttamento economico del diritto di immagine. Trattamento fiscale e contributivo
Il diritto di immagine è il diritto che il codice civile e la Lda riconoscono alla persone affinché la propria immagine non venga diffusa o pubblicata senza l’autorizzazione della persona medesima.
Con il già citato art. 43, co. 3, della legge 289/2002, il carattere patrimoniale dei diritto di immagine, già ammesso dalla dottrina e dalla giurisprudenza, viene riconosciuto a livello normativo: “…i compensi corrisposti alla categorie di cui all’articolo 3, primo comma, numeri da 1 a 14, del D.Lgs. C.P.S. 16 luglio 1947, n. 708, e successive modificazioni, a titolo della cessione dello sfruttamento economico del diritto…di immagine…, non possono eccedere il 40 per cento dell’importo complessivo percepito per prestazioni riconducibili alla medesima attività. Tale quota rimane esclusa dalla base contributiva e pensionabile…”.
Sul piano tributario, il compenso per l’utilizzazione del diritto di immagine rientra nei redditi di lavoro autonomo derivanti dalla “cessione… di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale” (art. 54, co. 1-quater, TUIR) ovvero nei redditi diversi rivenienti “dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere” (art. 67, co. 1, lett. l)). Il trattamento fiscale si differenzia a seconda che i proventi per l’utilizzazione del diritto siano percepiti da:
– il titolare originario del diritto nell’esercizio della sua attività professionale;
– il titolare originario del diritto al di fuori dell’esercizio della sua attività professionale nonché un soggetto diverso dal titolare originario del diritto avente causa al suo sfruttamento economico a titolo gratuito ovvero oneroso.
Nel primo caso il compenso rientra, per effetto dell’art. 54, co. 1-quater, del TUIR, fra i redditi di lavoro autonomo ed è assoggettato ad imposizione, nel periodo di imposta di percezione, per l’intero ammontare.
Nell’ambito del modello Unico PF, ove il compenso per lo sfruttamento del diritto di immagine sia riscosso interamente nel periodo di imposta al quale si riferisce la dichiarazione dei redditi, il contribuente può scegliere di assoggettare detto compenso a tassazione separata ai sensi dell’art.17, co.1, lett. g-ter), TUIR. In tal caso, al quadro RM (redditi soggetti a tassazione separata…), ai righi da RM3 a RM7, sono rilevabili le informazioni afferenti il compenso e, in particolare:
– colonna 1: codice “h”, che contraddistingue i redditi derivanti dall’assunzione di obblighi fare, non fare o permettere;
– colonna 2: anno di insorgenza del diritto alla percezione dei compensi;
– colonna 3: importo lordo del compenso;
– colonna 4: ritenute di imposta già operate nel corso del periodo di imposta;
– colonna 5: casella da barrare nel caso di opzione per la tassazione ordinaria in luogo di quella separata.
Laddove, invece, il contribuente opti per la tassazione ordinaria, l’importo del compenso è riportato nel quadro RE (redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni), al rigo RE3.
Nel secondo caso, vale a dire quando il reddito da utilizzazione del diritto di immagine è percepito dal titolare originario del diritto al di fuori dell’esercizio della sua attività professionale ovvero da soggetto diverso dal titolare originario del diritto avente causa al suo sfruttamento economico a titolo gratuito ovvero oneroso, ferma la tassazione dell’intero importo nel periodo di imposta in cui risulta percepito, il reddito è indicato nel quadro RL (altri redditi), sez. II-A (redditi diversi), al rigo RL16 che riporta specificamente i redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.
Sotto il profilo previdenziale delle somme eventualmente accertate a seguito dell’incrocio dei dati fiscali ed assicurativi ascrivibili ai compensi per la cessione dello sfruttamento del diritto di immagine, sul piano operativo, in linea di massima, possiamo riscontrare una delle seguenti fattispecie:
– si tratta di un libero professionista iscritto ad una delle Casse professionali;
– è un artista iscritto al Fpls;
– si tratta di un lavoratore autonomo non rientrante nel novero degli artisti di cui al punto precedente e non iscritto ad una Cassa professionale.
Nel primo caso, l’obbligo contributivo sussiste nei limiti e sulla base delle regolamentazioni adottate dalle singole Casse. Peraltro, si rileva come detta fattispecie appare non verosimile nella realtà, dal momento che lo sfruttamento economico del diritto di immagine è necessariamente connesso alla notorietà del titolare originario del diritto medesimo (al riguardo, v. oltre), situazione che, in linea generale, risulta difficile riscontrare con riguardo a soggetti iscritti alle Casse professionali.
Nel secondo caso, valgono interamente le considerazioni già svolte, sul piano normativo e sotto il profilo operativo, con riguardo agli artisti titolari del diritto di autore, alle quali si rinvia, con l’avvertenza che le categorie artistiche titolari del diritto di immagine sono più ampie di quelle titolari del diritto di autore, essendo, in linea di massima, coincidenti con tutte quelle indicate dalla legge (art. 3, co. 1, numeri da 1 a 14, D.Lgs. C.P.S. 708/1947).
Nel merito, appare opportuno richiamare l’attenzione sulla circostanza che, la limitazione alla configurazione del compenso alla stregua di reddito per lo sfruttamento del diritto di immagine risieda, come confermato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, (NOTA 4) “nell’effettivo e riconosciuto valore, sul mercato, della persona, in relazione alla sua notorietà”. In sostanza, la cessione a titolo economico dello sfruttamento del diritto di immagine trova la sua ragione giuridica laddove riconducibile a persona di oggettiva notorietà, trattandosi diversamente di abusivo utilizzo dei benefici contributivi previsti dalla norma.
Si richiama, inoltre, l’attenzione sulla circostanza che, ai fini della configurabilità dell’obbligo contributivo, non risulta necessario che l’erogazione dei compensi (per prestazione lavorativa e per cessione dello sfruttamento economico del diritto di immagine) sia effettuata dal medesimo soggetto, essendo sufficiente l’accertamento che il compenso per il diritto di immagine sia riconducibile all’attività lavorativa. E’ questo il caso – che si registra sovente con riguardo alla prestazioni rese da testimonial nell’ambito di spot pubblicitari – in cui l’attore è remunerato, dalla società che produce lo spot, per la prestazione lavorativa, e dalla impresa che produce/commercializza il prodotto pubblicizzato, per la cessione dello sfruttamento economico del diritto di immagine. In tal caso, ferma l’imposizione delle somme a remunerazione del prestazione, il soggetto che eroga il compenso per lo sfruttamento del diritto di immagine si farà carico dell’onere contributivo, applicando la franchigia nei limiti del 40% delle somme complessivamente erogate, avendo cura di acquisire, dalla società produttrice dello spot, le informazioni necessarie ai fini del corretto calcolo della contribuzione dovuta e dell’assolvimento degli obblighi informativi (dichiarazione contributiva). Al riguardo, si richiama la sentenza della Cassazione n. 9630/2004.
Si segnala, peraltro, che, anche alla luce degli sviluppi recentemente registrati in materia di nuove forme contrattuali volte a regolare l’assetto dei compensi di artisti di indubbia notorietà, possono ricontrarsi situazioni in cui l’accertamento della riconduzione dei compensi per il diritto di immagine alla specifica prestazione lavorativa è reso oggettivamente complesso dalla circostanza che i predetti compensi vengono percepiti, dall’artista, a titolo diverso. E’ questo il caso in cui l’artista costituisca (talora con una partecipazione minoritaria di altri soggetti) una società che si occupa dello sfruttamento economico della propria immagine ed alla quale cede, a titolo gratuito, i relativi diritti. In particolare, detta società acquisisce a titolo di ricavi le somme afferenti alla cessione dei diritti immagine relativi alle singole prestazioni lavorative dell’artista e, una volta conseguito il reddito di impresa, corrisponde a quest’ultimo somme immediatamente qualificate come utili di impresa. In questa prospettiva, l’accertamento degli obblighi contributivi in capo alla predetta società, da effettuarsi generalmente avvalendosi dello strumento ispettivo, presuppone la sussistenza degli elementi idonei a dimostrare il fine elusivo sotteso alla strutturazione di siffatto assetto societario e contrattuale.
Nel terzo caso (lavoratore autonomo non rientrante nel novero degli artisti di cui al caso precedente e non iscritto ad una Cassa professionale), il compenso percepito per lo sfruttamento economico del diritto di autore è escluso da qualsiasi obbligo contributivo, anche nei confronti della Gestione separata ex art. 2, comma 26, L. n. 335/1995.
La posizione INPS è stata fortemente criticata sul Sole 24 Ore dal dott. Giovanni Scoz, esperto della materia, il quale sottolinea come “appare evidente che esistono migliaia di regole, promulgate da vari istituti, ognuno per sé, che ogni anno vengono riviste e modificate senza armonizzar­si tra loro, con una visione molto miope e concentrata solo su un problema specifico. Così facendo, si è creato un indistricabile groviglio di norme tale da rendere molto difficile, se non impossibile, operare in maniera consapevole. Sarebbe anche utile, per lavo­rare nel pieno rispetto della normativa, che i messag­gi e le circolari emanate dai vari Enti siano chiarifica­trici di un problema e non aggiungano ulteriori incer­tezze procedurali“.
Riferimenti bibliografici:
Giovanni Scoz, Diritto d’immagine: chiarimenti Inps sul regime fiscale e contributivo, Il Sole 24 Ore Guida al Lavoro n. 2 del 2014

Giovanni Scoz, Diritto d’autore: chiarimenti Inps sul regime fiscale e contributivo, Il Sole 24 Ore, Guida al Lavoro n. 39 del 2013