Licenziamento collettivo si deve rispettare la
percentuale di lavoratrici
Redazione 3 Giugno 2019 0 Comments
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La Corte Suprema di Cassazione, con Ordinanza n. 14254 del 2019, ha reso il seguente principio di
diritto: in caso di licenziamento collettivo è necessario il rispetto della
percentuale di manodopera femminile sancito dall’articolo 5 della legge n. 223
del 1991, pena la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato”.
Vediamo ora insieme i fatti di causa.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria confermava la pronuncia del Tribunale
della stessa sede che aveva accolto il ricorso proposto da (OMISSIS) nei
confronti della (OMISSIS) s.r.l. volto a conseguire declaratoria di
illegittimità del licenziamento collettivo intimato il 23/10/2014 per
violazione della percentuale di manodopera femminile sancita dalla L. n. 223
del 1991, articolo 5, comma 2 con gli effetti reintegratori e risarcitori
previsti dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 1 come novellato dalla L.
n. 92 del 2012, siccome integrante la condotta datoriale, comportamento
discriminatorio.
La Corte distrettuale, in estrema sintesi, respingeva la doglianza
formulata dalla societa’ per la genericita’ della censura sollevata dalla
lavoratrice in sede di opposizione con riferimento alla percentuale di
manodopera maschile con mansioni impiegatizie, in forza presso l’intero
complesso aziendale. Argomentava, per contro, che la lavoratrice aveva fatto
richiamo ai medesimi dati numerici sulla consistenza della manodopera di
entrambi i sessi con riferimento al settore impiegatizio, allegati dalla
societa’ sin dalla costituzione in giudizio nella fase sommaria, sia con
riferimento al reparto amministrativo sia all’intero complesso aziendale. E gli
elementi acquisiti denunciavano chiaramente la intervenuta violazione di legge,
per essere la percentuale di personale femminile ridotta da un terzo ad un
sesto, ne’ la parte datoriale aveva fornito alcuna prova contraria,
confermando, per contro, gli stessi dati numerici allegati nel pregresso grado
di giudizio.
Avverso tale decisione la societa’ interpone ricorso per cassazione che
veniva rigettato con il principio di diritto sopra enunciato.
In particolare la Corte Suprema ha evidenziato che l’art. 5, comma 5 della
legge n. 223 del 1991, come modificato dall’art. 6, comma 5-bis, D.L. n. 148
del 1993 (L. n. 236 del 1993) stabilisce che L’impresa non può altresì
licenziare una percentuale superiore alla percentuale di manodopera femminile
occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione», introducendo in
tal modo al momento del licenziamento collettivo, il divieto di
“discriminazione indiretta”, mutuandolo dalla L. n. 125 del 1991, sulle pari
opportunità, che ha imposto un’aggiunta all’articolo 5, comma 2, secondo cui
nella individuazione del personale licenziato deve essere mantenuto
l’equilibrio proporzionale esistente tra lavoratori e lavoratrici.
La norma cosi’ dispone: “l’impresa non puo’ altresi’ licenziare una
percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera
femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione”.
Il tenore letterale della norma, elemento di interpretazione fondamentale e
prioritario di ermeneutica ex articolo 12 disp. att. c.c., dispone che il
confronto da operare in relazione al personale da espungere dal ciclo
produttivo, va innanzitutto circoscritto all’ambito delle mansioni oggetto di
riduzione, cioe’ all’ambito aziendale interessato dalla procedura, cosi’ da
assicurare la permanenza, in proporzione, della quota di occupazione femminile
sul totale degli occupati.
Sotto il medesimo profilo, va poi rimarcato che la disposizione non prevede
una comparazione fra numero di lavoratori dei due sessi prima e dopo la
collocazione in mobilita’; essa impone invece di verificare la percentuale di
donne lavoratrici, e poi consente di mettere in mobilita’ un numero di
dipendenti nel cui ambito la componente femminile non deve essere superiore
alla percentuale precedentemente determinata.
Nell’ottica descritta, deve ritenersi quale dato numerico acquisito agli
atti (vedi pag. 4 della sentenza impugnata e pag. 7 ricorso conclusioni A),
l’impiego di n. 6 uomini e n. 3 donne nel reparto amministrazione; in siffatto
ambito di riferimento, dunque, la percentuale di manodopera femminile con
mansioni impiegatizie era pari al 33,33%.
Nel contesto descritto si era poi proceduto al licenziamento di due donne
ed un uomo, e la percentuale di donne licenziate era pari al 66,66%.
Orbene, appare evidente che immuni da censure siano gli approdi ai quali e’
pervenuta la Corte di merito, laddove ha ritenuto violati i precetti sanciti
dalla L. n. 223 del 1991, articolo 5, comma 2 benche’ abbia operato un
raffronto fra dati numerici anteriori e successivi al licenziamento, con
statuizione suscettibile di correzione ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c..
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