La Corte Costituzionale affonda il Jobs act
Il criterio di determinazione dell'indennità che spetta al lavoratore
ingiustamente licenziato - e legato esclusivamente all’anzianità di servizio -
è incostituzionale
8
novembre 2018 - Altra picconata
al Jobs act. Stavolta non dalla politica
bensì dalla Corte Costituzionale. Secondo
quanto stabilito dalla sentenza della Consulta n. 194, depositata oggi,
il criterio di determinazione dell’indennità che
spetta al lavoratore ingiustamente licenziato – e legato esclusivamente
all’anzianità di servizio – è incostituzionale.
Spetta al giudice, invece, determinare l’indennità risarcitoria che dovrà
perciò tenere conto non solo dell’anzianità di servizio ma anche degli altri
criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina
limitativa dei licenziamenti, numero dei dipendenti occupati, dimensioni
dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti”.
In dispositivo dichiara dunque incostituzionale sia quanto previsto
dal Jobs act nel 2015 sui contratti a tutele
crescenti, sia quanto modificato dal Dl Dignità nel 2018 che
ha innalzato la misura minima e massima dell’indennità. Il meccanismo di
quantificazione del risarcimento pari a un “importo pari a due mensilità
dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine
rapporto per ogni anno di servizio” spiega ancora la sentenza della Consulta,
rende l’indennità “rigida” e “uniforme” per tutti i lavoratori con la stessa
anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata
e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata
estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato.
Pertanto, il giudice, si legge ancora, “nell’esercitare la propria
discrezionalità nel rispetto dei limiti, minimo (4, ora 6 mensilità) e massimo
(24, ora 36 mensilità), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità,
dovrà tener conto non solo dell’anzianità di servizio, criterio che ispira il
disegno riformatore del 2015, ma anche degli altri criteri ”desumibili in
chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei
licenziamenti (numero dei dipendenti ccupati, dimensioni dell’attività
economica, comportamento e condizioni delle parti)”.
La disposizione censurata, prosegue la Corte Costituzionale, contrasta
anzitutto con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata
omologazione di situazioni diverse: finisce, conclude la Corte, “col prevedere
una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla
diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro,
venendo meno all’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore,
anch’essa imposta dal principio di eguaglianza”.
In collaborazione con Adnkronos
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