Infortunio
sul lavoro: responsabilità e posizioni di garanzia
Cassazione
penale , sez. IV, sentenza 06.08.2010 n° 31385 (Manuela Rinaldi)
Il presidente della cooperativa
è responsabile in caso di infortunio sul lavoro dei lavoratori e non anche i
soci della stessa.
In quanto legale rappresentante
della stessa egli è da ritenersi equiparabile al datore di lavoro agli effetti
della normativa antinfortunistica.
Così hanno sentenziato i giudici
della Suprema Corte facendo applicazione ratione
temporis dei principi sanciti dal Decreto
Legislativo n. 626/94, come sostituito dal Testo unico in
materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, di cui al D.Lgs.
81/2008.
Nel nuovo testo unico la nozione
di datore di lavoro si riferisce, infatti, espressamente non più soltanto a chi
ha la responsabilità dell’impresa o dell’unità produttiva – quale, come sancito
dalla pronuncia in esame, il legale rappresentante di un’impresa cooperativa –
ma anche a chi detenga, al di là della qualifica rivestita, concreti poteri
direttivi, organizzativi e di spesa nell’ambito dell’organizzazione nella quale
il lavoratore presti la propria attività lavorativa.
Nella sentenza in commento si
precisa che “il presidente dell'impresa cooperativa in quanto rappresentante
legale della stessa, assume il ruolo di "datore di lavoro" e dunque
la posizione di garanzia allo stesso attribuita dalla legge, mentre i soci
della cooperativa sono equiparati a lavoratori subordinati (Cass. n. 32958/04)”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 14 aprile - 6 agosto
2010, n. 31385
Svolgimento del processo -
Motivi della decisione
-1- Con sentenza del 22 aprile
2004, il Tribunale di Massa, sezione distaccata di Carrara, ha dichiarato L.P.,
M. G., S.G. e P.R. colpevoli del delitto di cui all'art. 113 c.p. e art. 590
c.p., commi 2 e 3, commesso, con violazione delle norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di D.G.M. e, riconosciute a tutti
gli imputati le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza
sulle contestate aggravanti, li ha condannati alla pena, sospesa alle
condizioni di legge, di due mesi di reclusione ciascuno ed al risarcimento dei
danni in favore della parte civile costituita, cui ha assegnato una
provvisionale di 10.000,00 Euro.
Secondo l'accusa, condivisa dal
giudice del merito, gli imputati, nelle rispettive qualità - il M., di
presidente della cooperativa "Mediterranea produzione paste
alimentari", lo S. di responsabile preposto allo stabilimento della
stessa, il P. quale responsabile della manutenzione degli impianti e dei
macchinari, il L. quale presidente della cooperativa "Servizi
Malaspina" a r.l. e datore di lavoro del D.G. - per colpa consistita in
negligenza, imprudenza ed imperizia e nella violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro, in particolare il D.P.R. n. 547 del
1956, artt. 4 e 56, D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 6, 21 e 22, hanno causato
allo stesso D.G. lesioni personali gravi.
Era accaduto, invero, che
costui, mentre era intento al proprio lavoro, consistente nella pulizia dei
locali della cooperativa "Mediterranea", era stato agganciato per i
pantaloni della tutta da uno degli alberi rotanti, rimasto in funzione, ed
aveva riportato lo strozzamento degli arti inferiori.
-2- Su appello proposto dagli
imputati, la
Corte d'Appello
di Genova, con sentenza del 17 marzo 2009,
in riforma
della decisione impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di
P. R. perchè estinto il reato per morte del reo, ha dichiarato inammissibili
gli appelli di S.G. e di M. G. ed ha confermato la sentenza nei confronti di L.
P..
Quanto all'appello proposto dal
L. - che aveva dedotto la violazione del principio di correlazione di cui
all'art. 521 c.p., in relazione al fatto che il PM all'udienza del 6.11.03,
aveva modificato il capo d'imputazione descritto sub a) anche individuando il
D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, al posto dell'art. 6
in precedenza
contestato, nonchè l'assenza di responsabilità per quanto accaduto al D.G.,
viceversa allo stesso imputabile per avere omesso di richiedere, prima di
iniziare il suo lavoro, lo spegnimento delle macchine e per avere
inopportunamente arrotolato in vita la parte superiore della tuta - la corte
territoriale ha sostenuto: a) che per nulla violato doveva ritenersi il
principio di correlazione, poichè il PM si era limitato a correggere un mero
errore materiale riscontrato nell'articolazione del capo d'imputazione, nel
quale era stato citato l'art. 6, richiamato D.Lgs. invece che l'art. 7,
immutata essendo rimasta la sostanza della contestazione; b) che il D.G. non
aveva alcuna responsabilità per l'accaduto, posto che erano stati i committenti
a pretendere che, durante la pulizia dei locali, le macchine rimanessero in
funzione e che l'arrotolamento in vita della tuta non aveva avuto alcuna
efficacia causale nell'incidente.
Quanto agli appelli proposti
dallo S. e dal M., i giudici del gravame hanno rilevato la genericità e
manifesta irrilevanza dei rispettivi contenuti, donde la declaratoria
d'inammissibilità degli stessi.
-3- Avverso tale sentenza
propongono ricorso, per il tramite dei rispettivi difensori, il L., lo S. ed il
M..
1) Il L. deduce:
a) Violazione dell'art. 521 cod.
proc. pen. in relazione alla modifica, da parte del PM, del capo d'imputazione,
come descritto nel decreto di citazione a giudizio, non più relativo alla
mancata fornitura al lavoratore di idonei dispositivi di protezione
individuale, ma alla mancata opera di formazione ed informazione dello stesso;
non si tratterebbe, quindi, solo della mera correzione di un errore materiale
nella indicazione della norma di prevenzione, bensì della formulazione di una
diversa contestazione, accompagnata dall'indicazione di una specifica e diversa
norma di riferimento;
b) Violazione di legge e vizio
di motivazione della sentenza impugnata con riguardo:
- alla identificazione
dell'imputato quale datore di lavoro del D. G., laddove il presidente della
cooperativa sarebbe solo, a giudizio del ricorrente, un lavoratore, come gli
altri soci, e non un datore di lavoro; improprio sarebbe anche il richiamo al
D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, posto che nelle cooperative di produzione e
lavoro, come la "Servizi Malaspina", il soggetto che ha la
responsabilità dell'impresa non è il presidente, bensì il consiglio di
amministrazione, con l'avallo ed il controllo dell'assemblea dei soci;
- alla individuazione di
condotte colpevoli attribuite all'imputato che, in realtà, non avrebbe violato
alcuna norma di sicurezza e di prevenzione, avendo costantemente organizzato
corsi di formazione per i soci-lavoratori ed avendo sempre provveduto ad
informarli;
- ai poteri di intervento
dell'imputato sul luogo di lavoro, alla cui sicurezza avrebbe dovuto provvedere
il committente;
- alla valutazione del
comportamento del lavoratore infortunato, cui spettava di chiedere il fermo
delle macchine, ritenuto abnorme ed imprevedibile;
2) S. e M. congiuntamente
deducono vizio di motivazione in punto di inammissibilità delle impugnazioni
proposte che, a loro giudizio, contenevano i requisiti di cui all'art. 581
c.p.; in particolare, sostengono i ricorrenti che l'incidente doveva
attribuirsi al comportamento imprudente del lavoratore; lo S., altresì,
contesta di avere ricoperto un ruolo di garanzia, sotto il profilo della
sicurezza, all'interno dello stabilimento.
-4-A- Osserva, anzitutto la
Corte , con riguardo a L. P., che, non ravvisandosi ragioni
d'inammissibilità dei motivi di doglianza dallo stesso proposti, il reato di
lesioni colpose gravi del quale egli è stato ritenuto responsabile, deve essere
dichiarato estinto per prescrizione.
Considerato, invero, che
l'infortunio si è verificato il 30 ottobre 2001 e che, avuto riguardo alla pena
prevista per il delitto contestato, come ritenuto dai giudici del merito, il
termine massimo di prescrizione è, ai sensi dell'art. 157 c.p., comma 1, n. 4
(nella formulazione precedente l'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005,
applicabile nel caso di specie, in virtù della norma transitoria di cui
all'art. 10, perchè più favorevole rispetto alla disciplina sopravvenuta), di
cinque anni, estensibile a sette anni e sei mesi, deve prendersi atto del fatto
che tale termine, pur considerato un breve periodo di sospensione, è
interamente decorso in epoca successiva all'emissione della sentenza impugnata.
D'altra parte, le diffuse e coerenti argomentazioni svolte dalla corte
territoriale escludono qualsiasi ipotesi di proscioglimento nel merito, ex art.
129 c.p.p., comma 2, posto che, dall'esame di detta decisione, non solo non
emergono elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente
dell'insussistenza del fatto contestato all'imputato o della sua estraneità allo
stesso, ma sono rilevabili valutazioni di segno del tutto opposto, conducenti
alla sua responsabilità.
La sentenza impugnata deve
essere, quindi, nei confronti del L., annullata senza rinvio, essendo rimasto
estinto per prescrizione il reato allo stesso ascritto.
A questo punto occorre,
tuttavia, rilevare che - in tema di declaratoria di estinzione del reato -
l'art. 578 c.p. prevede che il giudice d'appello o la
Corte di
Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il
quale sia intervenuta, come nel caso di specie, "condanna, anche generica,
alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", sono tenuti a
decidere sull'impugnazione agli effetti civili; a tal fine, quindi, richiamata
la consolidata giurisprudenza di questa Corte, occorre procedere all'esame dei
motivi di ricorso, non potendosi trovare conferma della condanna al
risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova
dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129 c.p.p.,
comma 2.
Orbene, ritiene la
Corte che, anche
sotto lo specifico profilo appena menzionato, le censure mosse dal ricorrente
alla sentenza impugnata sono infondate.
In realtà, le osservazioni
svolte dal ricorrente circa: a) l'erroneità della sua identificazione quale
datore di lavoro dell'operaio infortunato in quanto presidente della
cooperativa "Mediterranea", b) il proclamato rispetto, da parte dello
stesso, delle norme antinfortunistiche e dei relativi obblighi, c)
l'attribuzione alla stessa vittima della esclusiva responsabilità
dell'infortunio, si presentano certamente infondate, ove si consideri:
a) che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, il presidente dell'impresa cooperativa, in
quanto rappresentante legale della stessa, assume il ruolo di "datore di
lavoro" e dunque la posizione di garanzia allo stesso attribuita dalla
legge, mentre i soci della cooperativa sono equiparati ai lavoratori
subordinati (Cass. n. 32958/04);
b) che, in ragione di tale sua
qualità, egli avrebbe dovuto, da un lato, assicurare la specifica formazione
dei soci lavoratori e l'informazione degli stessi, e dunque curare l'effettivo
compimento del percorso formativo in funzione delle mansioni effettivamente
esercitate, compito non adeguatamente assolto, secondo quanto accertato dai
giudici del merito che hanno richiamato le dichiarazioni acquisite in atti;
dall'altro, attivarsi per una proficua cooperazione con il committente, anche
al fine di evitare che lavoratori privi di specifiche qualifiche, si recassero
a lavorare in locali tecnici ove si trovavano in funzione macchinari privi di
protezione, come pure accertato dagli stessi giudici;
c) che a fronte di tali
acquisizioni, l'asserito rispetto, da parte del ricorrente, delle norme
antinfortunistiche si presenta quale apodittica affermazione, in realtà
chiaramente smentita dalle acquisizioni probatorie richiamate dai giudici del
merito;
d) che la condotta, ove anche
imprudente, del D.G., che non aveva richiesto, secondo il ricorrente, l'arresto
delle macchine prima di iniziare il proprio lavoro, non escluderebbe la
responsabilità del ricorrente, stante l'assoluta prevedibilità di tale condotta,
peraltro indotta dal rifiuto dei committenti di fermare le macchine.
Devono, quindi, essere
confermate la condanna del L. al risarcimento del danno e le altre statuizioni
civili contenute nella sentenza di primo grado.
-4-B) I ricorsi proposti da S.G.
e da M. G. devono essere, viceversa, dichiarati inammissibili.
In realtà, il giudizio
d'inammissibilità degli appelli dagli stessi proposti avverso la sentenza di
primo grado si presenta del tutto coerente rispetto alla genericità ed
all'irrilevanza delle censure in quella sede formulate, dirette, quanto allo
S., all'apodittico diniego di avere ricoperto, al tempo, incarichi attinenti
alla sicurezza dello stabilimento ed alla generica contestazione di nullità
della sentenza per mancata notifica allo stesso della "nuova
contestazione", e, quanto al M., all'immotivata attribuzione della
responsabilità dell'infortunio all'operaio che ne è rimasto vittima.
Genericità ed irrilevanza che
caratterizzano anche i motivi di ricorso, laddove lo S. ancora nega di avere
ricoperto posizioni di garanzia, in quanto privo di incarichi in ordine alla
sicurezza dello stabilimento, senza considerare che tale posizione egli è stata
attribuita in vista delle funzioni ricoperte, dallo stesso non contestate, di
preposto, responsabile dello stabilimento ove l'infortunio si è verificato;
mentre l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado viene riproposta
negli identici, generici, termini che hanno caratterizzato i motivi d'appello.
Il M., da parte sua, continua a proporre, in termini ancora generici, la tesi
dell'esclusiva responsabilità della vittima, senza confrontarsi con quanto, sul
punto, hanno correttamente sostenuto i giudici del merito.
In conclusione, la sentenza
impugnata deve essere annullata senza rinvio, nei confronti di L.P., perchè il
reato è estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili
contenute nella sentenza di primo grado. I ricorsi proposti da S.G. e da M.G.
devono essere dichiarati inammissibili, con condanna degli stessi al pagamento
delle spese processuali nonchè al versamento di una somma, in favore della
cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la
sentenza impugnata nei confronti di L. P., perchè il reato è estinto per
prescrizione; dichiara inammissibili i ricorsi di M.G. e S.G. e condanna gli
stessi al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00
ciascuno alla cassa delle ammende.
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