Legge 104, dalle ferie non possono essere detratti i giorni di permesso
Redazione 7 giugno 2018 0 Comments
La Corte Suprema di
Cassazione, con la sentenza n. 14468 del 2018, ha reso il seguente principio di
diritto “il datore di lavoro non può decurtare dal computo delle ferie i giorni
di permesso fruiti in base all’art. 33, comma 3, della legge 104 del 1992” (dal
Quotidiano del diritto del Sole 24 Ore del 7 giugno 2018).
Vediamo insieme i
fatti di causa di cui alla sentenza 14468/2018.
Con sentenza del 28
gennaio 2016 la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del giudice
di primo grado, aveva accolto la domanda avanzata da … diretta al
riconoscimento della illegittimità della decurtazione operata dal datore di
lavoro … spa dei giorni di permesso fruiti ex art. 33, c. 3, Legge 104 del 1992
nel computo delle ferie.
In particolare, la
Corte Suprema ha stabilito che nel decidere altre controversie, relative alle
analoghe questioni di computabilità di detti permessi ai fini della tredicesima
mensilità e della gratifica natalizia, ha ritenuto che “la limitazione della
computabilità (…) dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge 104 del
1992, in forza del richiamo operato dal successivo comma 4 all’ultimo comma
dell’art. 7 della legge n. 1204/1971 (abrogato dal d.lgs. n. 151 del 2001, che
ne ha tuttavia recepito il contenuto negli articoli 34 e 51), opera soltanto
nei casi in cui essi debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale
ordinario – che può determinare una significativa sospensione della prestazione
lavorativa – e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete
un’indennità inferiore alla retribuzione normale (diversamente dall’indennità
per i permessi ex legge 104 del 1992 commisurata all’intera retribuzione),
risultando detta interpretazione idonea ad evitare che l’incidenza sulla
retribuzione possa essere di aggravio della situazione dei congiunti del
portatore di handicap e disincentivare l’utilizzazione del permesso” (cfr.
Cassa n. 15345/2014 e 14187/2017).
Avverso la sentenza
d’appello ha proposto ricorso per cassazione il datore di lavoro che è stato
rigettato dalla Corte Suprema con condanna altresì alle spese di lite.
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