giovedì 31 marzo 2016

Inps, benefici previdenziali esposti amianto e regime sperimentale donna


Inps, benefici previdenziali esposti amianto e regime sperimentale donna

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Tra gli argomenti che formano oggetto della circolare dell’Inps 45 del 29 febbraio, abbiamo scelto di commentare:
  1. Benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto – Proroga del termine di presentazione delle domande;
  2. Regime sperimentale donna.
Il primo riguarda i benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto con la proroga* al 31 dicembre 2016 del termine per la presentazione all’Inps delle domande di riconoscimento del beneficio previdenziale previsto dall’art. 1, c. 115, della L190/2014. “Pertanto, entro il 31 dicembre 2016 gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, gestita dall’Inps, e all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, gestita dall’Inail, dipendenti da aziende che hanno collocato tutti i dipendenti in mobilità per cessazione dell’attività lavorativa, i quali abbiano ottenuto in via giudiziale definitiva l’ accertamento dell’avvenuta esposizione all’amianto per un periodo superiore a dieci anni e in quantità superiore ai limiti di legge e che, avendo presentato domanda successivamente al 2 ottobre 2003, abbiano conseguentemente ottenuto il riconoscimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 326/2003, possono presentare domanda all’INPS per il riconoscimento della maggiorazione secondo il regime vigente al tempo in cui l’esposizione si è realizzata”.
Regime sperimentale donna. Sempre per effetto della Legge di stabilità 2016, art. 1, c. 281, allo scopo di portare a conclusione la sperimentazione di cui alla L. 243/2004**, “la facoltà prevista… è estesa anche alle lavoratrici che hanno maturato i requisiti …, adeguati agli incrementi della speranza di vita… entro il 31 dicembre 2015 ancorché la decorrenza del trattamento pensionistico sia successiva a tale data, fermi restando il regime delle decorrenze e il sistema di calcolo delle prestazioni applicati al pensionamento di anzianità di cui alla predetta sperimentazione”.
Così, conclude la circolare dell’Inps, “la data del 31 dicembre 2015 è da considerarsi quale termine entro il quale devono essere soddisfatti i soli requisiti contributivi e anagrafici per il diritto alla pensione di anzianità in regime sperimentale donna”.
* La proroga è disposta dall’arti.1, c. 279 dalla L. 208/2015 – Legge Stabilità 2016”.
** Prevede che, in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, le lavoratrici possono conseguire il diritto all’accesso al trattamento pensionistico di anzianità, ove in possesso dei prescritti requisiti anagrafici e contributivi, optando per la liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo.
Info: circolare Inps n.45 29 febbraio 2016

Commento: Il sottoscritti si è interessato dal 1978 di amianto, facendo procedure operative per il settore 56 della Regione Lazio e per l?ASL RM 13 presso la quale ha prestato il suo servizio come ispettore del Lavoro. ha provveduto all'esame di piani di lavoro amianto e ad effettuare ispezione nei cantieri dove l'amianto veniva rimosso per gli accertamenti richiesti per la tutela dei lavoratori e quella ambientale. Nonostante le leggi in vigore mai nessun responsabile di servizio si è preoccupato di far sottoporre il personale ispettivo ai controlli sanitari previsti per gli operatori. E' vero che partecipavamo al cantiere in atto nel momenti ispettivi e quindi non accumulavamo tempi di esposizione elevati, ma un mesoltelioma ci poteva scappare come è capitato alle casalinghe che lavavano i panni dei mariti o come e successo ad alcune di esse che si sono messe in casa apparecchiature imbottite di amianto.
Questa è la mia testimonianza a tredici anni dall'andat in pensione.
Tutelare la salute è il compito della riforma sanitaria dentro e fuori degli ambienti di lavoro, ma i miei colleghi se ne guardarono bene di farsi attribuire l'incarico. G. Ruocco 

martedì 29 marzo 2016

Clp, Decreto legislativo attuazione direttiva 2014/27/UE in Gazzetta Ufficiale


Clp, Decreto legislativo attuazione direttiva 2014/27/UE in Gazzetta Ufficiale 

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ROMA – Regolamento Clp. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14 marzo 2016 il Dlgs 15 febbraio 2016, n. 39 – Attuazione della direttiva 2014/27/UE del 26 febbraio 2014, che modifica le direttive 92/58/CEE, 92/85/CEE, 94/33/CE, 98/24/CE e la direttiva 2004/37/CE allo scopo di allinearle al regolamento (CE) n. 1272/2008. Decretoapprovato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 2016 dopo l’esame preliminare del novembre 2015.

Medici competenti, invio allegato 3b entro 31 marzo, nota Ministero Salute


Medici competenti, invio allegato 3b entro 31 marzo, nota Ministero Salute 

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ROMA – Medici competenti. Con nota pubblicata oggi 11 marzo il Ministero della Salute ricorda la scadenza del 31 marzo 2016 per l’invio dell’allegato 3b con i dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria nel 2015.
Ricorda inoltre che la trasmissione dei dati può essere effettuata soltanto telematicamente e attraverso piattaforma Inail.

giovedì 24 marzo 2016

Attrezzature a pressione, un altro DLgs di attuazione della Direttiva UE


Attrezzature a pressione, un altro DLgs di attuazione della Direttiva UE

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Entrerà in vigore il 19 marzo il nuovo DLgs 15 febbraio 2016, n. 26, (Attuazione della direttiva 2014/68/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relativa alla messa a disposizione sul mercato di attrezzature a pressione – rifusione).
L’art. 2 della Direttiva del Parlamento e consiglio europei del 15 maggio 2014, ne dà questa definizione:“ai fini della presente direttiva si intende per: «attrezzature a pressione»: recipienti, tubazioni, accessori di sicurezza ed accessori a pressione, compresi, se del caso, elementi annessi a parti pressurizzate, quali flange, raccordi, manicotti, supporti, alette mobili:
Della materia questa Rubrica si era già occupata a suo tempo. Tuttavia riteniamo opportuno integrare le informazioni già date con altri particolari presenti nel nuovo DLgs.
Il provvedimento è composto da 4 articoli e due allegati. Nell’art. 1, dedicato alle modifiche del DLgs 93/2000*è rilevante l’aggiunta dell’art. 4-bis con l’elenco degli obblighi dei fabbricanti delle attrezzature. Non mancano di interesse sia il nuovo art. 4-ter sui rappresentanti autorizzati che l’art. 4-quater, sugli obblighi degliimportatori, e l’art. 5-quinquies, sugli obblighi dei distributori delle attrezzature.
L’art. 5 della direttiva 2014 (presunzione di conformità e dichiarazione di conformità), è completamente sostituito. Alla dichiarazione di conformità UE il nuovo DLgs dedica l’intero All. B. L’oggetto di questa dichiarazione è “l’identificazione delle attrezzature o dell’insieme che ne consente la rintracciabilità”.
L’allegato A, invece tratta dei requisiti essenziali di sicurezza, che sono “vincolanti “ e si applicano “soltanto quando sussistono i pericoli corrispondenti per le attrezzature a pressione considerate, se utilizzate alle condizioni ragionevolmente prevedibili dal fabbricatore”.
Fra i diversi capitoli dei “requisiti essenziali”, notati quelli sulle norme di carattere generale, la progettazione, la fabbricazione, i materiali, le attrezzature a pressione specifiche…
* Attuazione della direttiva 97/23/CE in materia di attrezzature a pressione.

Documentazione aziendale relativa alla sicurezza sul lavoro

CHECK LIST Dipartimento di Prevenzione  U.O.C. SPISAL - Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza in Ambienti di Lavoro

Documentazione aziendale relativa alla sicurezza sul lavoro

ulssQuesta check list Ver. 13 del 13/01/2016 è stata predisposta nello spirito dell’intesa sulle linee guida in materia di controlli emanata dalla Conferenza Unificata il 24 gennaio 2013 in ottemperanza all’art. 14 comma 5 del D.L. 9-febbraio-2012 convertito dalla legge 4-aprile-2012 n° 35. Dopo una prima fase di sperimentazione, è stata condivisa dagli enti che costituiscono il comitato provinciale di coordinamento e, in partico lare, dagli SPISAL della provincia di Treviso allo scopo di dare un’interpretazione uniforme alla normativa . Lo scopo è quello di garantire alle imprese la chia ra individuazione e l’agevole reperimento delle informazioni sui principali obblighi e sui re lativi adempimenti imposti. La linea guida prevede che le amministrazioni che effettuano la vigilanza facciano conoscere l’oggetto dei loro controlli e forniscano risposte alle richieste di chiarimento sottoposte dagli utenti (aziende e cittadini), assicurandone la più ampia d iffusione. Eventuali quesiti sugli argomenti trattati possono essere posti allo SPISAL della ULSS 9, eventualmente richiedendo una risposta condivisa a livello provinciale, attraverso lo sportello informativo all’indirizzo sportello SPISAL@ulss.tv.it
Questa check list elenca i principali documenti relativi alla sicurezza sul lavoro di cui l’azienda deve essere in possesso. Da questa lista sono esclusi i documenti (ad esempio relativi alla tutela dell’ ambiente, alla gestione dei rifiuti, etc.) che non hanno stretta attinenza con la normativa sulla sicurezza sul lavoro, in particolare con il D.Lgs. 81/2008 e che non rientrano, salvo situazioni eccezionali, nei controlli effettuati dallo SPISAL. In altri documenti, presenti nel sito tematico, son o/saranno indicate le modalità di effettuazione dei controlli e le richieste di documentazione effettuate di routine durante i controlli ispettivi.INDICE DELLA CHECK LIST 1. VALUTAZIONE DEI RISCHI, CERTIFICATI, AUTORIZZAZI ONI 2. SISTEMI DI GESTIONE DELLA SICUREZZA 3. DESIGNAZIONI, NOMINE E DELEGHE DELLE FIGURE AZIE NDALI DELLA SICUREZZA 4. INFORMAZIONE, FORMAZIONE, ADDESTRAMENTO 5. REGISTRO DEGLI INFORTUNI 6. SORVEGLIANZA SANITARIA E RAPPORTI CON IL MEDICO COMPETENTE 7. ATTREZZATURE MACCHINE E IMPIANTI 8. DISPOSITIVI INDIVIDUALI DI PROTEZIONE 9. GESTIONE DELLE EMERGENZE 10. CANTIERI TEMPORANEI E MOBILI 11. REGISTRI, AUTORIZZAZIONI E COMUNICAZIONI VARIE 12. LIBRO UNICO DEL LAVORO (LUL)

Ambienti insalubri, malattie e decessi, dati e rapporto Oms


Ambienti insalubri, malattie e decessi, dati e rapporto Oms

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GINEVRA – Nel Mondo 12,6 milioni di morti l’anno causate da ambienti insalubri, circa un quarto delle morti totali, i rischi sono nell’inquinamento di aria acqua e suolo, sostanze chimiche, clima e radiazioni ultraviolette.
A diffondere tali dati oggi è stata l’Organizzazione mondiale della sanità con la nuova edizione del rapportoPrevenire le malattie attraverso ambienti sani: una valutazione globale del carico di malattia da rischi ambientali che parte da rilevazioni risalenti al 2012.
Il rapporto segue la prima edizione pubblicata nel 2006 e viene presentato per porre all’attenzione dell’opinione pubblica gli attuali collegamenti tra condizioni ambientali avverse e malattia, nuovi rischi e rischi noti, considerazioni e indicazioni per la prevenzione e per interventi immediati e urgenti.
Questi i decessi nel 2012 attribuibili ad ambienti insalubri nelle varie regioni nel mondo, con i paesi a reddito basso, il Sud-Est asiatico e il Pacifico occidentale che spiccano per i numeri più elevati:
  • 2,2 milioni di morti in Africa;
  • 847 000 Americhe;
  • 854 000 Mediterraneo orientale;
  • 1,4 milioni Europa;
  • 3,8 milioni Sud-est asiatico;
  • 3,5 milioni Pacifico Occidentale.
La gran parte di tali decessi è causata da malattie non trasmissibili, sono in calo invece le virali. Tra 100 malattie e lesioni considerate, i decessi sono causati nella gran parte dei casi da problemi cardiovascolari come ictus e ischemia:
  • Stroke – 2,5 milioni di morti ogni anno;
  • cardiopatia ischemica – 2,3 milioni;
  • lesioni involontarie (come morti per incidenti stradali) – 1,7 milioni;
  • tumori – 1,7 milioni;
  • malattie respiratorie croniche – 1,4 milioni;
  • malattie diarroiche – 846 000;
  • infezioni delle vie respiratorie – 567 000;
  • condizioni neonatali – 270 000;
  • Malaria – 259 000;
  • lesioni intenzionali (come ad esempio i suicidi) – 246 000.
Le strategie di prevenzione passano da questi punti chiave: tecnologie pulite, riduzione uso domestico combustibili solidi, riscaldamento e illuminazione, miglioramento del traffico urbano, abitazioni a basso consumo energetico, riduzione dell’esposizione al fumo passivo.

Copertura previdenziale e assicurativa lavoratori domestici, il rapporto Ilo

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GINEVRA – Il 90% dei lavoratori domestici nel mondo non ha accesso ad alcuna forma di protezione sociale, donne l’80% della forza lavoro, in Italia il 60% dei domestici non ha alcuna copertura previdenziale e assicurativa.
Pubblicato ieri da Ilo il rapporto Social protection for domestic workers: Key policy trends and statistics – Protezione sociale per i lavoratori domestici: evoluzione delle politiche e tendenze statistiche, rapporto che ha analizzato le condizioni previdenziali e assicurative nelle quali si trovano i 67 milioni di lavoratori domestici di tutto il mondo.
Dei 67 milioni calcolati, 60 non godono di alcuna tutela. Le maggiori criticità vengono segnalate da Ilo per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, Asia e America Latina dove si trova il 68% di tali lavoratori e per i lavoratori migrati nei paesi industrializzati (11,5 milioni).
In alcune aree in via di sviluppo sta emergendo una tendenza verso la copertura assicurativa e la comprensione delle reali esigenze. Mali, Senegal e Vietnam si segnalano come i paesi virtuosi da questo punto di vista..
Per quanto riguarda gli industrializzati il comunicato stampa di Ilo Italia riporta dati su Italia, Spagna,Francia. In Italia non risulta registrato presso enti previdenziali e assicurativi il 60% dei domestici, il 30% sia in Spagna che in Francia. I dati mostrano quindi un settore “difficile da monitorare”, con più datori di lavoro ogni singolo lavoratore, turnover, assenza di contratti, salari irregolari.
Occorrono quindi interventi di sensibilizzazione, comunicazione, incentivi istituzionali. “A causa della situazione particolarmente vulnerabile dei lavoratori domestici, la sola contribuzione obbligatoria non è sufficiente. Le strategie dovrebbero includere gli incentivi fiscali, delle iniziative per favorire la registrazione, le campagne di sensibilizzazione destinate ai lavoratori migranti e ai loro datori di lavoro, e anche meccanismi di vouchers. Il lavoro domestico dovrebbe anche essere integrato in più ampie politiche di riduzione del lavoro informale”.
Ricordiamo che Ilo nel 2011 ha adottato la Convenzione 189 sul lavoro domestico seguita poi dallaRaccomandazione sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici, 2011. La Convenzione è stata ratificata dall’Italia ed è in vigore dal 5 settembre 2013.
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giovedì 10 marzo 2016

Quella volta che l'albero vinse contro il trattore

Storie di infortunio

Sicurezza    by Secondo MartinoCommenti chiusi

dorsQuella volta che l'albero vinse contro il trattore

Storie di infortunio

Repertorio delle storie di infortunio Dors
Dors nasce nel 1998 per volontà della Regione Piemonte - Assessorato alla tutela della salute e sanità.
Ci rivolgiamo alle Aziende ASL e ASO, agli operatori della scuola, della ricerca, dell’associazionismo e a coloro i quali, a vario titolo, operano nel campo della Prevenzione e della Promozione della Salute.
Le competenze professionali degli operatori del Centro non attengono solo alla cultura biomedica e psicologica, ma alla conoscenza di modelli di ricerca documentale, di modelli formativi, di progettazione e di valutazione di azioni di prevenzione e promozione della salute, fino ad arrivare al marketing sociale e alla disseminazione attraverso le tecnologie dell’informazione e i nuovi media.
Luogo: provincia di Torino
Data: 7 gennaio 2003
Comparto produttivo: agricoltura
Esito: un agricoltore è deceduto per il ribaltamento del trattore

Dove è avvenuto: nell’azienda di famiglia nel campo dove si coltivavano alberi da frutto. L’infortunio è avvenuto nelle campagne della pianura pinerolese, alle 15.30 circa. Nei giorni precedenti, aveva nevicato, e il terreno era ancora imbiancato, gelato in superficie. La giornata era limpida, molto fredda.

Cosa si stava facendo: due anziani agricoltori si accingevano a rimuovere degli alberelli da frutto che fiancheggiavano un campo con un trattore di proprietà del titolare dell’azienda agricola, acquistato nel 1972 e condotto dall’infortunato, che era il fratello del titolare.

Descrizione infortunio: per estirpare alcuni alberelli da frutto lungo il lato di un campo era utilizzato il trattore, che esercitava la trazione per mezzo di un cavo di acciaio lungo circa quattro metri. Il cavo veniva fissato da una parte all’albero, e dall’altra al punto di aggancio presente in alto sul retro del trattore, poco sotto al seggiolino di guida.

Dopo aver estirpato alcuni alberelli, i due uomini si accingevano a toglierne un altro, con il tronco dal diametro di circa 10 cm. Il mezzo, sprovvisto del telaio di protezione in caso di ribaltamento, durante la trazione della pianta, si è ribaltato, provocando la morte del conducente. Il ribaltamento del trattore è stato istantaneo, infatti l’infortunato non ha avuto il tempo di reagire e muoversi dalla postazione di guida, rimanendo con la testa schiacciata sotto al piantone dello sterzo e la carenatura del motore.

Come prevenire:

Dotare le macchine agricole di sistemi di protezione in caso di ribaltamento, che possono essere la cabina o il telaio, e un sistema di ritenzione del conducente, ovvero la cintura di sicurezza. Tali sistemi non impediscono il ribaltamento, ma proteggono il conducente dalle sue conseguenze.
Utilizzare sempre dispositivi di protezione individuali adatti al tipo di lavorazione. In questo caso, un paio di scarpe dotate di suola antiscivolo avrebbe forse potuto fare una presa maggiore sul pedale, impedendo lo scatto intempestivo del mezzo. Infatti, è plausibile che il lavoratore possa accidentalmente aver schiacciato eccessivamente il pedale dell’acceleratore, oppure aver perso il controllo del pedale della frizione, determinando un repentino balzo in avanti del mezzo. Controllare che il punto utilizzato per l’aggancio del cavo al trattore non si trovi più in alto dell’assale delle ruote posteriori, per far si che le forze esercitate su di esso non tendano a far sollevare la parte anteriore del mezzo. Probabilmente, se il lavoratore avesse utilizzato il gancio inferiore, posto 50 cm sotto al sedile, le forze in gioco avrebbero provocato il semplice slittamento del mezzo, invece che il ribaltamento. La lunghissima esperienza dei due agricoltori coinvolti nella dinamica infortunistica non li ha protetti dal compiere una drammatica leggerezza quale quella di agganciare troppo in alto il cavo.

Un aspetto altrettanto importante a fini prevenzionistici è che il ribaltamento è avvenuto su terreno perfettamente pianeggiante, contravvenendo al pensiero comune secondo il quale in pianura non esiste il rischio legato al ribaltamento.

Movimentazione manuale dei carichi e lombalgia del lavoratore. Responsabilità di un preposto


Movimentazione manuale dei carichi e lombalgia del lavoratore. Responsabilità di un preposto

Cassazione Penale, Sez. 4, 03 marzo 2016, n. 8872

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA Data Udienza: 15/12/2015

Fatto

Cassazione Penale, Sez. 4, 03 marzo 2016, n. 8872Con sentenza emessa in data 11 dicembre 2012 il Tribunale di Pordenone dichiarava C.C. responsabile del reato di cui agli artt. 590 co. 2 e 3, 583 co. 1 e 2 c.p. perché nella sua qualità di preposto - responsabile reparto ricambi - della ditta “C.V.” per negligenza, imprudenza, imperizia nonché in violazione delle norme inerenti la prevenzione degli infortuni, ed in particolare l'art. 2087 c.c., non adottava le misure idonee a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori ed a ridurre i rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi cagionando al lavoratore F.A. una lombalgia dalla quale derivava l’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per giorni 126. Concesse le attenuanti generiche, valutate prevalenti sulla contestata aggravante, condannava il predetto alla pena di mesi 2 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, pena condizionalmente sospesa, nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. Assegnava alla parte civile una provvisionale di 5.000,00 euro.
Proposto appello, la Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava il non doversi procedere nei confronti del C.C. per essersi il reato estinto per prescrizione. Confermava nel resto l’impugnata sentenza e condannava l’imputato alla rifusione delle spese di giudizio della parte civile.
In particolare i giudici di merito hanno ritenuto provata la penale responsabilità dell’imputato sulla base di una serie di risultanze documentali e testimoniali (in particolare le dichiarazioni della persona offesa ma anche quelle di altri dipendenti sentiti come testi). Da tali risultanze, infatti, è emerso che il C.C., figlio del titolare, rivestiva all’interno della suddetta ditta la carica di responsabile del settore ricambi. Dunque egli era il responsabile del reparto ove il F.A. svolgeva la propria attività - essendo lo stesso addetto alle etichettature dei ricambi - e come tale rivestiva una posizione sovraordinata rispetto allo stesso. Il C.C., in altri termini, si deve considerare preposto e, quindi, destinatario di una posizione di garanzia: di conseguenza, nello specifico, avrebbe dovuto vigilare sulla movimentazione dei carichi manuali al fine di evitare o, comunque, ridurre il rischio di lesioni dorso lombari anche tenuto conto dei fattori individuali di rischio (così come previsto dall’art. 48 co. 4 lett.b D.lgs 626/94). Al contrario, secondo quanto dichiarato dal F.A., lo stesso gli chiese di aiutare un collega, tale D.D. a portare in magazzino “un pezzo grande”. Con tutta probabilità il pezzo era del peso di 60-70 Kg, poiché secondo le testimonianze degli altri dipendenti della ditta, il peso medio dei pezzi movimentati era di circa 40 Kg: comunque, anche partendo da tale valore, il peso diviso per i due trasportatori supera la soglia di 15 KG che, secondo quanto stabilito dalla Commissione Medica, il F.A. poteva trasportare. 
Orbene, sempre secondo le dichiarazioni del F.A., egli, alla richiesta del C.C., rispose che non poteva perché le sue condizioni di salute non glielo consentivano e l’odierno imputato lo minacciò di licenziarlo se non avesse svolto il lavoro richiesto. Di conseguenza, il F.A. trasportò il pezzo indicatogli dal C.C. assieme al collega riportando la suddetta lesione lombare così come risulta anche dal certificato INAIL del 13.04.06 ove si legge che il predetto dovette abbandonare il lavoro perché colto da un violento dolore lombare mentre sollevava un peso.
Avverso tale pronuncia il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
1) Violazione di norme sostanziali e processuali in materia di formazione della prova; vizio di motivazione e presenza di un ragionevole dubbio sulla responsabilità del C.C..
In sostanza la difesa sostiene che la Corte di appello abbia fondata la ritenuta responsabilità del C.C. su elementi fallaci a cominciare dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
La Corte di appello, nota la difesa, ha ritenuto credibile il F.A. perché le sue affermazioni sarebbero state rese nell’immediatezza dei fatti e, poi, confermate in dibattimento nonché per la presenza di riscontri.
In realtà ciò, secondo il difensore, non corrisponde al vero dal momento che il certificato del Pronto Soccorso e la segnalazione all’INAIL risalgono al 17 maggio 2006 cioè un mese dopo la data del presunto infortunio indicata nel 13 aprile 2006. In particolare la certificazione INAIL risale, a detta della difesa, al 19 maggio. Ciò significa che non vi è stato alcun effettivo “riscontro medico immediato” dell’infortunio.
Dunque, conclude la difesa, poiché non vi è immediatezza, nessuno ha assistito all’accaduto e i suddetti certificati non possono considerarsi riscontri delle dichiarazioni del F.A., manca la prova che il presunto infortunio sia effettivamente conseguenza dell’evento “presuntivamente accaduto il 13 aprile”. Sebbene tale profilo fosse stato oggetto dei motivi di appello, la Corte territoriale non ha fatto chiarezza sul punto.
Ancora, quanto al peso degli assali, la Corte di appello ha fatto riferimento alla deposizione del teste M. dicendo che dalla stessa era emerso che gli assiali spostati pesavano in media sui 40 KG. Invero, afferma la difesa, il teste non avrebbe mai affermato che gli assiali pesavano in media 40 KG bensì 20-25 KG; peso che diviso per due non supera la soglia consentita di 15 KG.
Dunque anche quest’ulteriore riscontro alle dichiarazioni della persona offesa, alla luce di una più attenta analisi delle risultanze istruttorie, risulta inesistente, con la conseguenza che vengono meno tutti gli elementi sui quali il giudice di appello ha fondato la attendibilità della ricostruzione riportata dal F.A..
Orbene, se così stanno le cose, prosegue il ricorrente, la sentenza impugnata diviene illogica e contraddittoria in quanto “non si può sostenere la credibilità di un teste (la persona offesa) su elementi che non ci sono in atti o, meglio, sono diversi ed opposti rispetto a quanto in motivazione i giudici affermano
2) Inosservanza delle norme processuali in tema di inutilizzabilità.
La difesa si duole del fatto che la Corte di appello abbia richiamato le SIT del D.D. poi non sentito in dibattimento perché divenuto irreperibile. Atto inutilizzabile ma posto dalla Corte territoriale alla base della notizia di reato.
Se un atto è inutilizzabile, osserva la difesa, non deve neppure essere richiamato, altrimenti sorge il dubbio che non solo il giudicante lo abbia letto ma anche che ne abbia ricavato delle conclusioni con ciò violando le regole fondamentali in tema di formazione della prova: se un elemento è inutilizzabile da esso non si può trarre alcun convincimento neppure in via indiretta.
3) Inosservanza ed erronea applicazione della legge quanto all’individuazione del soggetto responsabile.
La difesa afferma che, anche qualora il F.A. fosse effettivamente rimasto infortunato nelle circostanze e secondo le modalità da lui descritte, le conseguenze dannose dovrebbero legarsi al fatto che lo stesso non doveva essere adibito a quel posto di lavoro perché a rischio in quanto portatore di una patologia pregressa. Dunque, continua la difesa, “è ininfluente chi abbia dato l’incarico di alzare l’assale: il punto è che il F.A. non doveva trovarsi in quel posto di lavoro”. E di ciò dovrebbe rispondere il datore di lavoro e non l’odierno imputato. Di conseguenza la “condotta astratta/ipoteteca di cui al capo di imputazione non solo non è stata accertata in dibattimento ma non è neppure astrattamente imputabile al C.C.”.

Diritto

Il ricorso è infondato nella misura in cui il ricorrente, tramite la deduzione di vizi di legittimità, cerca di ottenere in questa sede una valutazione degli elementi di prova ulteriore e diversa rispetto a quella effettuata dai giudici di merito; operazione, quest’ultima, come è noto preclusa al giudice di legittimità salvo il caso in cui le argomentazioni impiegate nell’impugnata pronuncia risultino del tutto illogiche e contraddittorie. Circostanza che non ricorre, però, nel caso di specie.
Difatti, quanto alla prima doglianza inerente la attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, occorre innanzitutto precisare che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, le regole dettate dall’art. 192, co. 3 c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (ex multis Cass. Sez. Un. 41461/2012 RV 253214; Cass. Sez. V n. 1666/2014 RV 261730).
Tale verifica particolarmente rigorosa deve ritenersi effettuata nel caso di specie come risulta dalla motivazione della sentenza ove la Corte di appello ha precisato come la dichiarazione del F.A. risultassero credibili in quanto non intrinsecamente contraddittorie o affette da vizi logici e sempre riportate allo stesso modo (durante le indagini ed in dibattimento).
In particolare merita ricordare che, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica e che non può essere rivalutata in sede di legittimità; ciò salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni. Contraddizioni che, come già detto, non ricorrono nel caso di specie.
Tanto premesso, occorre svolgere alcune precisazioni quanto alla assenza di riscontri lamentata dalla difesa. Quanto all’asserita mancanza di riscontri medici immediati la sentenza di appello richiama il certificato INAIL nel quale si attesta un fatto espressamente ascritto alla data del 13 aprile 2006 (data in cui il F.A. colloca l'infortunio): alle ore 10:30 lo stesso dovette lasciare il lavoro perché colto da un improvviso dolore lombare mentre sollevava un peso. Orbene non solo c’è perfetta corrispondenza temporale tra il certificato e quanto narrato dal teste ma la diagnosi riportata nella certificazione è del tutto compatibile con il sollevamento di un carico eccessivo. Del resto, precisa giustamente la Corte di appello, non si comprende con quale altra modalità alternativa il F.A. si possa essere procurato la lesione in questione.
Ancora con riguardo al peso dell’assiale spostato, la Corte di appello ha fatto riferimento alla deposizione del teste M. dicendo che dalla stessa era emerso che gli assiali spostati pesavano in media sui 40 KG. Dunque con tutta probabilità il pezzo effettivamente spostato era del peso di 60-70 Kg, poiché il F.A. parla di un grosso pezzo, cioè di peso superiore rispetto alla media dei pezzi normalmente movimentati. In ogni caso secondo le testimonianze degli altri dipendenti (tra cui il teste M.), il peso medio dei pezzi movimentati era di circa 40 Kg: comunque anche partendo da tale valore il peso diviso per i due trasportatori supera la soglia di 15 KG che, secondo quanto stabilito dalla Commissione Medica, il F.A. poteva trasportare.
Orbene, secondo la difesa il M. non avrebbe mai affermato che gli assiali pesavano in media 40 KG bensì 20-25 KG; peso che diviso per due non supera la soglia consentita di 15 KG. La difesa, però, non allega il verbale della deposizione a sostegno di tale assunto ma si limita a riportare tra virgolette alcune frasi del teste del tutto decontestualizzate. Con ciò non soddisfacendo l’onere di allegazione derivante dal principio di autosufficienza del ricorso.
Quanto alla doglianza relativa al richiamo fatto dalla Corte alle SIT del D.D. è appena il caso di precisare che il giudice di appello è ben consapevole dell’inutilizzabilità in dibattimento e, quindi, ai fini della propria decisione delle dichiarazioni in questione. Ciò emerge in maniera evidente dal tenore letterale dell’inciso oggetto di censura: la Corte territoriale, infatti, si limita ad affermare “pare, peraltro, che il D.D. sia stato sentito a SIT ed anche sulla base delle sue dichiarazioni, pur non utilizzabili in dibattimento, il funzionario dell’ASS abbia redatto la CNR”. Da tale affermazione si evince come la Corte di appello non solo non abbia utilizzato ma neppure abbia avuto modo di leggere le suddette SIT come vorrebbe, invece, far pensare la difesa.
Al pari infondata risulta anche l’ultima doglianza relativa all’individuazione del soggetto responsabile.
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa, infatti, la Corte di appello nel ritenere l’imputato responsabile dell’infortunio verificatesi ha fatto corretta applicazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. Come è noto, tale normativa riconosce una specifica posizione di garanzia nei confronti del lavoratore in capo al preposto. In particolare l'art. 1 co. 4 bis Dlgs. allora vigente prevede che siano obbligati all’osservanza delle norme in tema di sicurezza anche i preposti nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze.
Orbene sul punto la Corte ha precisato che il C.C. rivestiva all’interno della suddetta ditta la carica di responsabile del settore ricambi. Dunque egli era il responsabile del reparto ove il F.A. svolgeva la propria attività - essendo lo stesso addetto alle etichettature dei ricambi - e come tale rivestiva una posizione sovraordinata rispetto allo stesso. Egli rivestiva la posizione, appunto, di preposto.
Di conseguenza il C.C., nel caso di specie, avrebbe dovuto vigilare sulla movimentazione dei carichi manuali al fine di evitare o, comunque, ridurre il rischio di lesioni dorso lombari anche tenuto conto dei fattori individuali di rischio (così come previsto dall’art. 48 co. 4 lett.b D.lgs 626/94). Al contrario, lo stesso chiese al F.A. di aiutare il collega D.D. a portare in magazzino “un pezzo grande”, cioè di peso probabilmente superiore ai 40 Kg (e comunque anche partendo da tale valore il peso diviso per i due trasportatori superava la soglia di 15 KG che, secondo quanto stabilito dalla Commissione Medica, il F.A. poteva trasportare).
Dunque è evidente l’omissione da parte del C.C. delle cautele previste dalla legge; cautele che gli avrebbero imposto di non adibire il F.A. a quel tipo di operazione. Ciò anche in considerazione del fatto che lo stesso era stato assunto nella quota riservata agli affetti da disabilità e, proprio per tale motivo, era stato destinato a mansioni di ufficio quali la etichettatura dei pezzi in magazzino. Del resto tale conclusione si pone in linea con il costante orientamento di questa Corte secondo il quale il preposto, titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori, risponde degli infortuni loro occorsi in violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia purché, come nel caso di specie, sia titolare dei poteri necessari per impedire l’evento lesivo in concreto verificatosi (Cass. Sez. IV n. 12251/2014 RV 263004).
Tanto premesso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, in data 15 dicembre 2015.

martedì 8 marzo 2016

Pos delle aziende che forniscono calcestruzzo nei cantieri


Chiarimenti sul Pos delle aziende che forniscono calcestruzzo nei cantieri  SCRITTO DA  IL


Il TU 81/08, art. 96, stabilisce che “i datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi un’unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti… redigono il piano operativo di sicurezza “ e però precisa che ciò “non si applica alle mere forniture di materiali o attrezzature”. In questo secondo caso si applica l’art. 26 dello stesso TU sicurezza lavoro, con il quale sono stati fissati gli obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione.
Sulla diversa applicazione normativa, fa chiarezza la nota del Ministero del lavoro del 16 febbraio, n. 2597, che per una più completa disanima richiama anche l’obbligo di redazione del Duvri che non si applica “ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature”.
Letti insieme i due articoli 26 e 96 del TU, si desume, osserva la nota ministeriale, “che le imprese che effettuano una mera fornitura di materiali o attrezzature sono esonerate sia dall’obbligo di redazione del Pos… sia dall’obbligo di partecipazione alla redazione del Duvri”. Anche se restano fermi per le aziende interessate “gli obblighi di cooperazione, coordinamento e condivisione delle informazioni relative alla sicurezza delle loro operazioni, con l’azienda appaltatrice”*.
Sulle operazioni di fornitura di calcestruzzo preconfezionato nei cantieri temporanei o mobili, diversi operatori del settore, informa il Ministero, “hanno rappresentato la necessità di chiarire in quali casi la fornitura di calcestruzzo possa essere considerata una mera fornitura di materiali, tali da poter rientrare nel disposto di cui all’art. 96 e quindi esonerare le imprese dalla redazione del Pos”
Ed ecco la risposta della nota del 16 febbraio. “Per risolvere la questione la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro è intervenuta con la redazione di una procedura per la fornitura in cantiereapprovata il 19/01/2011 e diffusa con Lettera Circolare del 10/02/2011**.
Nella Circolare si danno precise indicazioni sulle procedure di sicurezza che deve rispettare il lavoratore dell’impresa fornitrice che, nel caso di “mera” fornitura, non deve partecipare in nessun modo alla posa in opera del calcestruzzo e non deve tenere e manovrare la benna o il secchione o il terminale in gomma della pompa”. E allora in caso contrario si deve ritenere di essere in presenza di una fornitura e posa in opera.
Ancora la nota del Ministero. “Nell’ipotesi di fornitura di materiali e/o attrezzature”, è quindi necessario che si verifichi se si tratta di una mera fornitura (niente obbligo di Pos o Duvri) oppure di una vera e propria fornitura e posa in opera (qui il fornitore partecipa alle lavorazioni che si svolgono in cantiere).
Conclusione. Per la procedura per la fornitura di calcestruzzo si deve dare applicazione all’ art. 26, c. 2 del TU; nel caso di fornitura e posa in opera si dovrà verificare la presenza sia del Pos che l’analisi dei rischi interferenti nel Psc o nel Duvri.
* Art. 26, c. 2, del TU 81/08.
** Fornisce indicazioni operative relativamente alle “informazioni da scambiarsi in materia di sicurezza dei lavoratori coinvolti nelle diverse fasi in cui si articola il rapporto fra fornitore e impresa cliente” e alle procedure da seguire in tali operazioni a garanzia della “sicurezza dei lavoratori coinvolti a partire dal momento in cui vi sia la richiesta di fornitura di calce struggo da parte dell’impresa edile fino alla consegna del prodotto nel cantiere di destinazione”.