Inabilità al lavoro sopravvenuta, legittimo il licenziamento
Redazione 24 aprile 2018 0 Comments
La Corte Suprema di
Cassazione, con la Sentenza n. 8419 del 2018, ha stabilito che in caso di
inabilità al lavoro sopravvenuta è legittimo il licenziamento del dipendente
che non è più in grado di svolgere le mansioni precedenti e non vi è
possibilità di ricollocazione in mansioni
alternative (V. anche Mansioni
diverse, legittimo il licenziamento del benzinaio per impossibilità di
ricollocamento).
Vediamo nel dettaglio
la decisione della Cassazione con l’articolo pubblicato oggi (24.4.2018) dal
Sole 24 Ore (Firma: G. Bulgarini d’Elci; Titolo: “L’inabilità limita il
ripescaggio”) che di seguito riportiamo.
È legittimo il
licenziamento del dipendente che, per aver contratto il linfoma di Hodgkin, ha
sviluppato una permanente inabilità al lavoro, a condizione che nell’ambito
dell’organizzazione aziendale non sussistano posizioni alternative, anche di
contenuto professionale inferiore, cui adibire il dipendente in un’ottica di
salvaguardia del posto di lavoro.
La Corte di cassazione precisa (sentenza 8419/2018) che la verifica sulla disponibilità di posti alternativi non deve comportare pregiudizio per l’organizzazione del lavoro, nel senso che l’assegnazione a un ruolo diverso all’interno della compagine aziendale deve essere compatibile con gli interessi datoriali e non snaturare la struttura attraverso cui si sviluppa l’attività dell’impresa.
In virtù di queste premesse, la Cassazione afferma che la sopravvenuta infermità permanente del dipendente non costituisce giustificato motivo oggettivo di recesso per impossibilità della prestazione lavorativa se al lavoratore possono essere assegnate altre mansioni di contenuto equivalente o, in loro mancanza, di natura inferiore, previo consenso dell’interessato a ricoprirle. Se, tuttavia, l’adibizione a nuove mansioni funzionali alla conservazione del posto comporta un disallineamento rispetto all’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore, viene meno l’obbligo di repêchage nei confronti del lavoratore inabile, risultando in questo caso pienamente legittima la risoluzione del rapporto.
La Suprema corte rimarca come l’assolvimento dell’onere di ricollocare il dipendente colpito da sopravvenuta inabilità comporti un meditato bilanciamento dell’interesse del dipendente alla conservazione del posto con l’interesse datoriale al libero esercizio dell’attività di impresa. Il punto di equilibrio risiede, ad avviso della Cassazione, nella verifica sulla permanenza di un effettivo interesse del datore di lavoro a ricevere le prestazioni del lavoratore inabile nell’ambito di una nuova funzione, avuto riguardo alle scelte organizzative precedentemente adottate.
Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Suprema corte è relativo al licenziamento dell’addetto di una stazione di benzina con funzione di pompista colpito da linfoma di Hodgkin e licenziato per sopravvenuta inabilità al lavoro. Il dipendente ha impugnato il licenziamento, sostenendo di poter essere adibito a mansioni che prevedevano la permanenza all’interno di un gabbiotto da cui si gestiva il servizio di rifornimento self-service.
Ribaltando la decisione del giudice di primo grado, la Corte d’appello aveva evidenziato che nell’organizzazione aziendale la prestazione dedotta dal lavoratore non costituiva un ruolo autonomo, in quanto tra le mansioni del benzinaio rientravano anche quelle del servizio alla pompa self-service.
La Cassazione, recuperando le valutazioni in punto di fatto del precedente grado di merito, conferma la legittimità del licenziamento sul presupposto che l’attribuzione al dipendente di nuove mansioni compatibili con lo stato di insorta inabilità non deve confliggere con l’interesse dell’impresa ed essere di pregiudizio per l’organizzazione del lavoro aziendale.
La Corte di cassazione precisa (sentenza 8419/2018) che la verifica sulla disponibilità di posti alternativi non deve comportare pregiudizio per l’organizzazione del lavoro, nel senso che l’assegnazione a un ruolo diverso all’interno della compagine aziendale deve essere compatibile con gli interessi datoriali e non snaturare la struttura attraverso cui si sviluppa l’attività dell’impresa.
In virtù di queste premesse, la Cassazione afferma che la sopravvenuta infermità permanente del dipendente non costituisce giustificato motivo oggettivo di recesso per impossibilità della prestazione lavorativa se al lavoratore possono essere assegnate altre mansioni di contenuto equivalente o, in loro mancanza, di natura inferiore, previo consenso dell’interessato a ricoprirle. Se, tuttavia, l’adibizione a nuove mansioni funzionali alla conservazione del posto comporta un disallineamento rispetto all’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore, viene meno l’obbligo di repêchage nei confronti del lavoratore inabile, risultando in questo caso pienamente legittima la risoluzione del rapporto.
La Suprema corte rimarca come l’assolvimento dell’onere di ricollocare il dipendente colpito da sopravvenuta inabilità comporti un meditato bilanciamento dell’interesse del dipendente alla conservazione del posto con l’interesse datoriale al libero esercizio dell’attività di impresa. Il punto di equilibrio risiede, ad avviso della Cassazione, nella verifica sulla permanenza di un effettivo interesse del datore di lavoro a ricevere le prestazioni del lavoratore inabile nell’ambito di una nuova funzione, avuto riguardo alle scelte organizzative precedentemente adottate.
Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Suprema corte è relativo al licenziamento dell’addetto di una stazione di benzina con funzione di pompista colpito da linfoma di Hodgkin e licenziato per sopravvenuta inabilità al lavoro. Il dipendente ha impugnato il licenziamento, sostenendo di poter essere adibito a mansioni che prevedevano la permanenza all’interno di un gabbiotto da cui si gestiva il servizio di rifornimento self-service.
Ribaltando la decisione del giudice di primo grado, la Corte d’appello aveva evidenziato che nell’organizzazione aziendale la prestazione dedotta dal lavoratore non costituiva un ruolo autonomo, in quanto tra le mansioni del benzinaio rientravano anche quelle del servizio alla pompa self-service.
La Cassazione, recuperando le valutazioni in punto di fatto del precedente grado di merito, conferma la legittimità del licenziamento sul presupposto che l’attribuzione al dipendente di nuove mansioni compatibili con lo stato di insorta inabilità non deve confliggere con l’interesse dell’impresa ed essere di pregiudizio per l’organizzazione del lavoro aziendale.
IN SINTESI
1 IL FATTO
L’addetto a una
stazione di rifornimento, a causa della malattia contratta, ha chiesto di
essere assegnato alla gestione delle pompe self-service
2 LA DECISIONE SECONDO LA CASSAZIONE
Il licenziamento deciso
dall’azienda è legittimo in quanto la ricollocazione del dipendente non deve
essere in conflitto con l’interesse dell’impresa
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