Privo di casco
Inabilità permanente a seguito di infortunio in itinere, la rendita va
detratta dal risarcimento
Redazione 23
maggio 2018 0 Comments
Le Sezioni Unite
della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 12566 del 2018,
hanno stabilito che la rendita per inabilità permanente a seguito di infortunio
in itinere dovuta dall’INAIL va detratta dal risarcimento del danno al
lavoratore poiché quest’ultimo non può ottenere due volte la riparazione dello
stesso pregiudizio subito.
Vediamo insieme la
decisione delle Sezioni Unite nella sentenza 12566/2018 con l’articolo
pubblicato oggi (23.5.2018) dal Sole 24 Ore (Firma: M. Pizzin; Titolo: “Rendita
INAIL detratta dal risarcimento”) che di seguito riportiamo.
L’importo della rendita per
inabilità permanente erogata dall’Inail a seguito di infortunio in itinere
occorso al lavoratore va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto al
danneggiato, allo stesso titolo, da parte del terzo responsabile del fatto
illecito. Dettando questo principio di diritto le Sezioni unite della Cassazione,
con la sentenza 12566/2018, depositata ieri, hanno risolto il contrasto
giurisprudenziale relativo alla (dibattuta) questione se dall’ammontare del
danno risarcibile vada o meno scomputata la rendita riconosciuta dall’Istituto.
La questione era stata sollevata nel corso di un contenzioso avviato da un lavoratore danneggiato da un incidente stradale e beneficiario di rendita Inail il quale, in primo grado, si era visto riconoscere una somma a titolo di danno patrimoniale dal soggetto investitore, dalla quale – in appello – era stato poi detratto il valore della rendita ottenuta per invalidità permanente: una scelta che secondo il danneggiato avrebbe finito con lo svuotare di contenuto la responsabilità del terzo danneggiante, estraneo al rapporto di lavoro e a quello assicurativo-infortunistico.
Le Sezioni unite, nel ricordare che sul punto la giurisprudenza è divisa, ha riconosciuto le ragioni dell’orientamento prevalente, favorevole al diffalco.
È stato chiarito, anzitutto, che il caso esaminato riguarda un duplice e separato rapporto bilaterale, garantito, sul fronte welfare, dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e, su quello della responsabilità civile, dal fatto illecito del terzo. In queste ipotesi spetta esclusivamente al legislatore stabilire quando accompagnare la previsione del beneficio a favore del danneggiato con l’introduzione di un meccanismo di surrogazione e rivalsa: «ad esso soltanto – spiegano i giudici – compete, in definitiva, trasformare quel duplice, ma separato, rapporto bilaterale in una relazione trilaterale, così apprestando le condizioni per il dispiegamento dell’operazione di scomputo».
In questo senso va letto, in particolare, l’articolo 1916 del Codice civile, il quale dispone che l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso il terzo danneggiante: una disposizione che per espressa previsione si applica «anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro».
La surrogazione, in quest’ottica, mentre consente all’Inail di recuperare dal terzo responsabile le spese sostenute per le prestazioni assicurative erogate al lavoratore danneggiato, secondo le Sezioni unite «impedisce a costui di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di rendita assicurativa con l’intero importo del risarcimento del danno dovutogli dal terzo, e di conseguire così due volte la riparazione del medesimo pregiudizio subito».
La questione era stata sollevata nel corso di un contenzioso avviato da un lavoratore danneggiato da un incidente stradale e beneficiario di rendita Inail il quale, in primo grado, si era visto riconoscere una somma a titolo di danno patrimoniale dal soggetto investitore, dalla quale – in appello – era stato poi detratto il valore della rendita ottenuta per invalidità permanente: una scelta che secondo il danneggiato avrebbe finito con lo svuotare di contenuto la responsabilità del terzo danneggiante, estraneo al rapporto di lavoro e a quello assicurativo-infortunistico.
Le Sezioni unite, nel ricordare che sul punto la giurisprudenza è divisa, ha riconosciuto le ragioni dell’orientamento prevalente, favorevole al diffalco.
È stato chiarito, anzitutto, che il caso esaminato riguarda un duplice e separato rapporto bilaterale, garantito, sul fronte welfare, dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e, su quello della responsabilità civile, dal fatto illecito del terzo. In queste ipotesi spetta esclusivamente al legislatore stabilire quando accompagnare la previsione del beneficio a favore del danneggiato con l’introduzione di un meccanismo di surrogazione e rivalsa: «ad esso soltanto – spiegano i giudici – compete, in definitiva, trasformare quel duplice, ma separato, rapporto bilaterale in una relazione trilaterale, così apprestando le condizioni per il dispiegamento dell’operazione di scomputo».
In questo senso va letto, in particolare, l’articolo 1916 del Codice civile, il quale dispone che l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso il terzo danneggiante: una disposizione che per espressa previsione si applica «anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro».
La surrogazione, in quest’ottica, mentre consente all’Inail di recuperare dal terzo responsabile le spese sostenute per le prestazioni assicurative erogate al lavoratore danneggiato, secondo le Sezioni unite «impedisce a costui di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di rendita assicurativa con l’intero importo del risarcimento del danno dovutogli dal terzo, e di conseguire così due volte la riparazione del medesimo pregiudizio subito».
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