Raccolta di normative italiane ed europee, storia della prevenzione nel mondo, fatti e misfatti del settore, Esperienze e ditettive, Cronaca del settore e fatti del giorno,Informativa sui dati tecnici e culturali,Nozionismo, Definizioni, Modulistica del settore, Esperienze, Storia della prevenzione, etc.
lunedì 29 aprile 2019
Incentivo occupazione sviluppo Sud, decreto Anpal info e scadenze
Incentivo occupazione sviluppo Sud, decreto Anpal info
e scadenze
Pubblicato da Anpal il decreto n.178 del 19 aprile 2019sull’Incentivo occupazione sviluppo Sud, destinato ai datori
di lavoro privati per l’assunzione di persone disoccupate.
L’incentivo, ai sensi dell’articolo 19 del D.lgs. n. 150/2015, e dell’art. 4, comma 15-quater del Decreto Legge n. 4 del 28 gennaio 2019, interesserà assunzioni che avverranno tra il 1° maggio e il 31 dicembre 2019.
Effettuate da aziende con sede di lavoro in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, Abruzzo, Molise e Sardegna.
I destinatari della misura non devono aver
avuto rapporti di lavoro con lo stesso datore nei sei mesi precedenti. Sono:
“a) lavoratori di età compresa tra i 16 anni e 34 anni di età;
b) lavoratori con 35 anni di età e oltre, privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, ai sensi del Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali del 17 ottobre 2017“.
b) lavoratori con 35 anni di età e oltre, privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, ai sensi del Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali del 17 ottobre 2017“.
Tipologie contrattuali ammesse:
indeterminato anche a somministrazione; apprendistato professionalizzante;
tempo parziale; trasformazione da determinato in indeterminato; socio
lavoratore cooperativa assunto con contratto subordinato.
Fruizione
entro il 28 febbraio 2021. Incentivo di 12 mesi dal momento
dell’assunzione. Importo fino a 8.060 euro su base annua, ridotto in caso di
rapporti di lavoro a tempo parziale. Domanda da presentare
all’Inps su modulo telematico e beneficio autorizzato in ordine
cronologico. “Per le assunzioni effettuate prima che sia reso disponibile il
modulo telematico dell’istanza preliminare, l’INPS autorizza il beneficio
secondo l’ordine cronologico di decorrenza dell’assunzione”.
Mi rifacci la domanda
Mi rifacci……
Mi rifacci la domanda
e appresso
mi sono arrivati gli stracci
della grammatica,
lo scherno
di un infermo
a cui non piacque
ma poi piacquette
l’accetta
per tagliarmi la lingua
per farla a fette in salmi
con l’aceto, col timo
e un poco di timor
per chi potesse accorgersi
rendendola
troppacida
con l’accidia
che adopero
creando misfatti
grammaticali nei piatti
anche se piacquendontela
la tiri per le lunghe
strappandotela
di bocca
per leccarli pulendoli
per non lasciare
agli altri sugo
per le diatribe del caso,
occasionali.
Ostia Lido 29.04.019
Gioacchino Ruocco
Horror poesiae - raccolta
domenica 28 aprile 2019
giovedì 25 aprile 2019
Riposi giornalieri per allattamento e diritto alla pausa pranzo
Riposi giornalieri per allattamento e diritto alla
pausa pranzo
Redazione 24 Aprile 2019 0 Comments
Il Ministero del Lavoro, con Interpello n. 2 del 2019, ha risposto ad un quesito avanzato
da ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale,
relativamente al diritto alla pausa pranzo e alla conseguente attribuzione del
buono pasto, ovvero alla fruizione del servizio mensa, da parte delle
lavoratrici che usufruiscono dei riposi giornalieri “per allattamento” di cui
all’articolo 39 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e successive
modificazioni.
Il predetto articolo 39 stabilisce il diritto della lavoratrice, durante il
primo anno di vita del figlio, a due periodi di riposo di un’ora ciascuno,
anche cumulabili durante la giornata, quando l’orario lavorativo è superiore
alle sei ore; nel caso di orario giornaliero inferiore a sei ore, la
disposizione prevede invece una sola ora di riposo. La natura di tali riposi è
chiarita dal comma 2 dello stesso articolo 39, che stabilisce che essi debbano
essere “considerati ore lavorative agli effetti della durata e della
retribuzione del lavoro”.
Tanto premesso, ISPRA ha chiesto di sapere se “in caso di una presenza
nella sede di lavoro pari a 5 ore e 12 minuti, dovuta alla fruizione – da parte
della lavoratrice – dei riposi giornalieri, si debba procedere a decurtare i 30
minuti della pausa pranzo, come se avesse effettivamente completato l’intero
orario giornaliero, atteso che i riposi in questione sono considerati dalla
legge ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro.
Per altro verso, si chiede altresì di conoscere se la dipendente abbia la
facoltà di rinunciare alla pausa pranzo e/o al buono pasto, al fine di non
vedere decurtate le ore considerate come lavoro effettivo”.
Ecco la risposta del Ministero.
L’articolo 8 del d.lgs. n. 66/2003 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e
2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di
lavoro) stabilisce che “Qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il
limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le
cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro,
ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione
del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.”.
Come si evince dal dato letterale della disposizione appena riportata,
la ratio è quella di consentire al lavoratore che
effettui una prestazione lavorativa superiore a sei ore di recuperare
le proprie energie psicofisiche durante un lasso temporale (intervallo),
prestabilito dalla contrattazione collettiva. La scelta stessa del termine
“intervallo” da parte del legislatore del 2003 lascia presupporre, da un punto
di vista logico, la successiva ripresa dell’attività lavorativa dopo la
consumazione del pasto o la fruizione della pausa da parte del lavoratore.
Le due disposizioni innanzi richiamate (art. 8 del d.lgs. n. 66/2003 e art.
39 del d.lgs. n. 151/2001) sono state concepite dal legislatore con scopi ben distinti:
– l’articolo 39 è volto a favorire la conciliazione tra la vita
professionale e quella familiare, stabilendo nei confronti della lavoratrice
madre il diritto ad una o due ore di riposo giornaliero (a seconda della durata
della giornata lavorativa) per accudire il figlio, entro il primo anno di età.
La norma non specifica la collocazione temporale dei riposi, limitandosi a
stabilire che, qualora siano due, essi possano anche essere cumulati;
– l’articolo 8 relativo, più in generale, all’organizzazione dell’orario di
lavoro, stabilisce il diritto del lavoratore ad una pausa, finalizzata al
recupero delle energie e all’eventuale consumazione del pasto. Il dettato
normativo e la ratio della disposizione non sembrano lasciare
dubbi in merito al riferimento ad un’attività lavorativa effettivamente
prestata, ben diversa dalla fattispecie in esame in cui il legislatore, volendo
comprensibilmente riconoscere un favor alla lavoratrice madre, abbia inteso
riconoscere le ore di permesso ai fini retributivi e del rispetto dell’orario
(normale) di lavoro.
Ciò premesso, un’analisi coordinata delle due disposizioni richiamate,
considerata la specifica funzione della pausa pranzo, che la legge definisce
come “intervallo”, porta ad escludere che una presenza effettiva della
lavoratrice nella sede di lavoro pari a 5 ore e 12 minuti dia diritto alla
pausa ai sensi dell’articolo 8 del d.lgs. n. 66/2003. Conseguentemente, non
si dovrà procedere alla decurtazione dei 30 minuti della pausa pranzo dal
totale delle ore effettivamente lavorate dalla lavoratrice.
Il presente parere recepisce, peraltro, le indicazioni del Dipartimento
della Funzione Pubblica che, con nota del 10 ottobre 2012 (n. 40527), aveva già
fornito risposta all’ISTAT e all’ARAN evidenziando che “il diritto al buono
pasto sorge per il dipendente solo nell’ipotesi di attività lavorativa
effettiva dopo la pausa stessa”.
Da ultimo, a puro titolo informativo, si fa presente che ad analoghe
conclusioni è giunta anche l’Agenzia delle Entrate che ha fornito, in data 21
gennaio 2013, istruzioni ai fini della concessione del buono pasto ai propri
dipendenti, individuando come presupposti imprescindibili l’effettuazione della
pausa e la prosecuzione dell’attività lavorativa dopo la stessa.
Licenziamento legittimo della cassiera che trattiene i buoni sconto clienti
Licenziamento legittimo della cassiera che trattiene i
buoni sconto clienti
Redazione 24 Aprile 2019
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 11181 del 2019, ha reso il seguente principio di
diritto: “è legittimo il licenziamento della cassiera che trattiene, e poi
fa spendere al marito nello stesso punto vendita, buoni spesa (per un totale di
24 euro) che spettavano alle clienti” (dal Quotidiano del Diritto del Sole
24 Ore del 24.4.2019).
Ecco di seguito i fatti di causa.
Con sentenza del 10.6.2017 la Corte d’Appello di Catanzaro ha riformato la
sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva dichiarato l’illegittimità del
licenziamento intimato a …. in data 3.8.2011 dalla datrice di lavoro … s.r.l.,
ordinando la sua reintegrazione.
La corte territoriale ha ritenuto legittimo il licenziamento comminato a
seguito di contestazione disciplinare con cui era stato addebitato alla
dipendente, cassiera presso il punto vendita della società, di aver omesso di
consegnare 8 buoni sconto del 10% sulla spesa a clienti titolari di una tessera
promozionale (denominata “sempremia”), per un valore complessivo di 24 euro,
buoni che erano stati spesi presso il punto vendita dal marito della …. Il
giorno successivo.
I giudici del gravame, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime
cure che aveva escluso che dall’istruttoria testimoniale fosse emersa la prova
della volontaria omessa consegna dei buoni spesa ai clienti da parte della …,
hanno rilevato che vi erano circostanze di fatto dalle quali inferire, in base
all’art. 2729 c.c., la prova presuntiva del volontario e non consentito
utilizzo in proprio favore di tali buoni spesa.
In particolare non era stata evidenziata nella sentenza di primo grado la
circostanza dell’abbinamento dei buoni sconto utilizzati ad un numero
identificativo di tessera che apparteneva ad una cliente la quale,
interpellata, aveva dichiarato di avere smarrito tempo prima detta tessera.
Inoltre il giudice di prime cure aveva omesso di rilevare che nei filmati del
servizio di video sorveglianza del punto vendita era ritratto il consorte della
… mentre pagava presso una cassa utilizzando dei buoni, poi risultati emessi
tutti a poca distanza di tempo e collegati tutti ad una stessa tessera
“sempremia”.
Per la Corte quindi in base al filmato in atti e alle contraddizioni in cui
la lavoratrice era incorsa, – nel non dar conto del perché avesse abbinato
tutti i buoni ad uno stesso numero di tessera, sia nel negare la presenza del
marito presso il punto vendita nel giorno in cui erano stati utilizzati detti
buoni – doveva concludersi per il raggiungimento della prova in ordine al
volontario ed indebito utilizzo dei buoni spesa spettanti ad altri clienti.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice che
però veniva rigettato dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra
esposto.
Pesca Marittima, riconoscimento di una indennità a sostegno del reddito
Pesca Marittima, riconoscimento di una indennità a
sostegno del reddito
Redazione 23 Gennaio 2018 0 Comments
Il Ministero del Lavoro ha pubblicato la Circolare n. 1 del 2018, integrativa della Circolare 2 del 2017, che chiarisce l’ambito applicativo
dell’indennità giornaliera a favore dei dipendenti delle imprese adibite alla
Pesca Marittima e fornisce indicazioni operative in merito alle modalità di
presentazione delle istanze.
In particolare la Circolare estende l’indennità ai casi di sospensione
dell’attività lavorativa derivante da tutte le misure di arresto
temporaneo obbligatorio delle imbarcazioni decise dalle autorità pubbliche e
non solo a quelle di cui al D.M. n.16769 del 26 luglio 2017.
L’indennità giornaliera, inoltre, è riconosciuta anche
per la giornata del sabato, che viene conteggiata come giornata lavorativa.
In particolare si legge quanto segue nella Circolare 1/2018.
L’articolo 1, comma 346, della legge n. 232 dell’11 dicembre 2016 ha
previsto, per l’anno 2017 e nel limite di undici milioni di euro, per ciascun
lavoratore dipendente da impresa adibita alla pesca marittima, compresi i soci
lavoratori delle cooperative della piccola pesca, di cui alla legge 13 marzo
1958, n. 250, che sia riconosciuta un’indennità giornaliera
onnicomprensiva pari a trenta euro, in caso di sospensione dal lavoro derivante
da misure di arresto temporaneo obbligatorio.
Il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito, con modificazioni, dalla
legge 21 giugno 2017, n. 96 recante “Disposizioni urgenti in materia
finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi
per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”, ha ridotto
l’importo a euro 10.547.342,00. Il decreto legge n. 148 del 16 ottobre 2017,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017 n. 172, recante ”
Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili”, ha
ulteriormente ridotto l’importo a euro 9.547.342,00.
Con la Circolare n. 22 del 22 dicembre 2017 sono state fornite le
indicazioni operative finalizzate alla presentazione delle domande di
concessione della indennità sopra descritta.
A) Ambito applicativo
1) L’indennità giornaliera onnicomprensiva pari a trenta euro, è concessa,
nei limiti della risorse stanziate, ai casi di sospensione dell’attività
lavorativa derivante da tutte le misure di arresto temporaneo obbligatorio
delle imbarcazioni decise dalle autorità pubbliche e non esclusivamente a
quelle di cui al D.M. n. 16769 del 26 luglio 2017.
2) l’indennità giornaliera di cui al punto 1 è riconosciuta anche nella
giornata del sabato, la quale viene, pertanto, conteggiata quale giornata
lavorativa.
B) Modalità di accesso
all’indennità
Le imprese di cui al punto A della Circolare n. 22 del 22 dicembre 2017,
per ogni unità di pesca interessata, devono presentare, entro il 31 gennaio
2018, istanza tramite il sistema telematico denominato “CIGSonline”. L’istanza,
presentata con marca da bollo da 16 euro, secondo la vigente normativa, deve
essere redatta sulla base di quanto previsto nel citato sistema CIGSonline. Le
imprese devono compilare in maniera esaustiva sia il modulo denominato
“Scheda9.odt”, prelevabile all’interno del sistema CIGSonline, sia il file
denominato “FPO2017.ods”, prelevabile nel sito internet del Ministero del
lavoro e P.S., percorso Temi e priorità, Ammortizzatori sociali, Focus on,
Cassa Integrazione guadagni straordinaria CIGS, CIGSonline, nei quali dovranno
essere riportate le informazioni negli stessi richieste. Il modulo
“Scheda9.odt”, dopo la compilazione, deve essere vistato dalla competente
Autorità Marittima e scansionato (Scheda9.pdf).
Il modulo “Scheda9.odt” attualmente disponibile sul portale CIGSonline
prevede la possibilità di accedere all’indennità per le sole imbarcazioni che
effettuino l’arresto temporaneo obbligatorio previsto dall’articolo 2 del DM n.
16769 del 26 luglio 2017. Al riguardo si precisa che le imprese non rientranti
in tale attività di pesca devono comunque utilizzare il medesimo modello
specificando la tipologia di fermo pesca effettuato, corredato dal visto della
Autorità marittima Al fine di favorire la più ampia partecipazione alla
fruizione della indennità in parola, è possibile allegare al modulo istanza la
“Scheda9.odt”, debitamente firmata e compilata in maniera esaustiva con
l’elenco dei lavoratori e i relativi periodi di sospensione entro il termine
del 31 gennaio 2018 previsto dal DI n. 5 del 23 novembre 2017 e successivamente
inoltrare, entro il termine del 15 febbraio 2018, la medesima scheda corredata
dal visto dell’Autorità marittima competente, sempre utilizzando il sistema
CIGSonline. Si ribadisce quanto già previsto dall’art 2, comma 4, del D.I. n.
5/2017 in tema di irricevibilità delle istanze prive del visto dell’Autorità
marittima.
Il Ministero, infine, invita gli utenti a monitorare la casella email
fornita in sede di inoltro dell’istanza sulla quale verranno notificate
eventuali comunicazioni.
Tirocini formativi presso lavoratori autonomi non inquadrabili come datori
Tirocini formativi presso lavoratori autonomi non
inquadrabili come datori
Redazione 26 Giugno 2018 0 Comments
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La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul
lavoro del Ministero del Lavoro, con Interpello n. 4 del 2018, ha risposto ad una istanza avanzata
dalla Provincia Autonoma di Trento sui tirocini formativi del seguente tenore:
«[…] Diversi Istituti scolastici promuovono la formazione degli
studenti presso Maestri Artigiani, sia attraverso progetti dedicati (quale il
“Progetto Tirocini presso Maestri Artigiani” curato dall’Agenzia del lavoro della
Provincia di Trento in base alla deliberazione della Giunta provinciale n.
1945/15) sia attraverso l’alternanza scuola – lavoro prevista dalla Legge
107/15. Si tratta di percorsi di formazione che vengono svolti (nel caso
del “Progetto Tirocini presso Maestri Artigiani” e in alcuni casi di alternanza
scuola – lavoro), presso lavoratori autonomi (come, appunto, i Maestri
Artigiani)[…] ».
Nello specifico il richiedente ha chiesto di conoscere “se, nei casi di
tirocini formativi da svolgersi presso lavoratori autonomi non configurabili
come datori di lavoro, sia applicabile l’articolo 21 del D.Lgs.81/08,
individuando particolari modalità per garantire la tutela e sicurezza del
tirocinante o se invece il Decreto vada applicato interamente, con conseguente
e non indifferente aggravio di oneri a carico dell’imprenditore e possibili
effetti sulla realizzabilità del tirocinio stesso”.
Al riguardo, la Commissione ha evidenziato quanto segue:
Premesso che:
– il decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77 – “Definizione delle
norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro, a norma dell’articolo 4
della legge 28 marzo 2003, n. 53” – articolo 1, comma 1, rubricato “ambito
di applicazione” – stabilisce che : “Il presente decreto disciplina
l’alternanza scuola-lavoro, di seguito denominata: «alternanza», come
modalità di realizzazione dei corsi del secondo ciclo, sia nel sistema dei
licei, sia nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, per
assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base, l’acquisizione di
competenze spendibili nel mercato del lavoro. Gli studenti che hanno compiuto
il quindicesimo anno di età, salva restando la possibilità di espletamento del
diritto-dovere con il contratto di apprendistato ai sensi dell’articolo 48 del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, possono presentare la richiesta
di svolgere, con la predetta modalità e nei limiti delle risorse di cui
all’articolo 9, comma 1, l’intera formazione dai 15 ai 18 anni o parte di essa,
attraverso l’alternanza di periodi di studio e di lavoro, sotto la
responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa”;
– il successivo comma 2 del citato articolo 1 del decreto legislativo 15
aprile 2005, n. 77 prevede quanto segue: “I percorsi in alternanza sono
progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità
dell’istituzione scolastica o formativa, sulla base di apposite convenzioni con
le imprese, o con le rispettive associazioni di rappresentanza, o con le camere
di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con gli enti pubblici e
privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli
studenti per periodi di apprendimento in situazione lavorativa, che non costituiscono
rapporto individuale di lavoro.[…]”;
il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 – “Attuazione dell’articolo
1 della Legge 3 agosto 2007, n. 123 in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro” – articolo 2 , comma 1, rubricato “Definizioni”
stabilisce che: “1. Ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al
presente decreto legislativo si intende per: a) «lavoratore»: persona che,
indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa
nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con
o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o
una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al
lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di
società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e
dell’ente stesso; l’associato in partecipazione di cui all’articolo 2549, e
seguenti del Codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di
tirocini formativi e di orientamento di cui all’articolo 18 della Legge 24
giugno 1997, n. 196, e di cui a specifiche disposizioni delle Leggi regionali
promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di
agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del
lavoro; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il
partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di
laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e
biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali
limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla
strumentazione o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei
Vigili del Fuoco e della Protezione Civile; il lavoratore di cui al
decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni”;
il successivo articolo 4, comma 1, del citato decreto legislativo 9 aprile
2008, n. 81, rubricato “computo dei lavoratori” prevede che: “Ai fini della
determinazione del numero di lavoratori dal quale il presente decreto
legislativo fa discendere particolari obblighi non sono computati: […] b) i
soggetti beneficiari delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento
[…]”;
la risposta al quesito pubblicata sul sito istituzionale del Ministero del
lavoro e delle Politiche Sociali del 1 ottobre 2012 ha precisato che «dalla
definizione fornita dall’articolo 2, comma 1, lett. a) del D. Lgs. 9 aprile
2008, n. 81, si evince che al lavoratore è equiparato, ai fini
dell’applicazione della normativa in materia, anche “chi svolge attività
lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o
privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere
nonché il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di
orientamento e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse
al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le
scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro”.
Conseguentemente, se in un’azienda o uno studio professionale, sono ammessi
soggetti che svolgano stage o tirocini formativi, il datore di lavoro sarà
tenuto ad osservare tutti gli obblighi previsti dal testo unico al fine di
garantire la salute e la sicurezza degli stessi e, quindi, adempiere gli
obblighi formativi connessi alla specifica attività svolta»;
con la risposta ad interpello n. 1 del 2 maggio 2013 la Commissione ha
fornito indicazione in merito al quesito relativo alla visita medica preventiva
nei confronti di studenti minorenni partecipanti a stage formativi;
– la legge 13 luglio
2015, n. 107 – “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e
delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” – all’articolo
1, comma 7, lettera o) stabilisce “un incremento dell’alternanza scuola-lavoro
nel secondo ciclo di istruzione”;
– il decreto
interministeriale 3 novembre 2017, n. 195 – “Regolamento recante la Carta dei
diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro e le modalità’
di applicazione della normativa per la tutela della salute e della sicurezza
nei luoghi di lavoro agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro” –
articolo 1, comma 2, prevede che : “Il presente regolamento definisce, altresì,
le modalità di applicazione agli studenti in regime di alternanza scuola-
lavoro delle disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza
nei luoghi di lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e
successive modificazioni”;
– l’articolo 5
del predetto decreto legislativo 3 novembre 2017, n. 195 detta una particolare
regolamentazione della “Salute e sicurezza” nell’ambito dell’alternanza scuola
– lavoro;
la Commissione ha ritenuto che, per le modalità di applicazione della
normativa per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro
agli studenti in regime di alternanza scuola – lavoro, dovrà farsi
riferimento alla specifica disciplina contenuta nel richiamato articolo 5 del
decreto interministeriale 3 novembre 2017, n. 195 in combinato disposto con le
previsioni di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81 e successive
modificazioni.
(Fonte: Ministero del Lavoro)
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