La Brexit di casa nostra
A quanto pare gli infermieri formati nelle nostre università, e dunque anche con i nostri soldi, sono i più ambiti nei paesi stranieri. E in particolare in Gran Bretagna. Li pagano pure meglio di noi, quasi 2mila euro al mese, alla faccia della Brexit. Peccato che tanta scienza (e pure coscienza per chi sceglie di stare a contatto con i malati) finisca all’estero mentre nei nostri ospedali il personale è scarso e si spende per gli straordinari costringendo i cristiani con il camice a turni massacranti.
Poi, quando questo nostro strano Paese decide di cambiare rotta e di fare un concorso che negli anni avrebbe potuto portare a saturare gli organici della Città della Salute, si combina un pasticcio di cui vergognarci di fronte all’Europa. Il Tar, sempre lui, sospende il bando e i candidati vengono avvisati quando sono già in piedi di fronte alla sala dell’esame. Compatrioti che arrivano da tutta Italia, uno addirittura da Lampedusa e, soprattutto, dall’Inghilterra.
Cervelli di ritorno? Macchè, individui da sbeffeggiare che ora, con la valigia in mano, dicono affranti che non torneranno più perché il paese in cui sono nati ha tolto loro ogni speranza. Siamo alle solite, o anche peggio, immersi in una burocrazia fessa, feroce e avvilente. Che schiaccia ogni speranza e annienta la buona volontà. Io provo un rancore sordo a vedere una madre con un bimbo di un anno tra le braccia che racconta di essere arrivata dalla Sicilia per coronare un sogno. E che deve tornare a casa, spendendo gli ultimi risparmi. Voi che ne dite?
fossati@cronacaqui.it
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